domenica 5 agosto 2007

avete mai letto cervantes?

"questa storia è interamente vera, perchè me la sono inventata da capo a piedi" (boris vian)

il cavaliere degli specchi è il mio migliore amico. come ogni buon amico che si rispetti, non ha paura di dire in faccia la verità. tutta la verità, anche quelle storielle atroci e inconfessabili. il problema di fondo, se di problema si può parlare (e in effetti lo è), è che il cavaliere degli specchi sono io. sillogismo: il cavaliere degli specchi è il mio migliore amico + il cavaliere degli specchi sono io = io sono il migliore amico di me stesso. ma non è così, in realtà. riproviamo, sillogismo 2: quello che dice in faccia la verità nuda e cruda ha il nomignolo (da me affibiatogli) di cavaliere degli specchi + il cavaliere degli specchi sono io = io sono l'unico che dice la verità nuda e cruda. ok. ma, aspettate, non mi sono montato la testa. io sono l'unico che dice la verità nuda e cruda, si.. ma a sè stesso, mica ad altri. non ho mica questo coraggio! partendo da questo presupposto, conviene ora spiegare chi è il cavaliere degli specchi. don chisciotte, vi dice niente? il cavaliere degli specchi è un personaggio di questo romanzo: è solo un nome inventato da tal sansone carrasco, professione studente, amico di don chisciotte. impietosito dalla perdita di senno dell'amico, prova a ricondurlo nel villaggio natale, usando lo stratagemma del cavaliere che piomba sul cammino dell'eroe, lo sconfigge (non ci vuol molto a sconfiggere don chisciotte, dato che è un imbranato di prima categoria) e lo riporta sulla strada del rinsavimento. in pratica è un trucco usato dall'amico dell'eroe, che cerca solo di aiutarlo.
mi capita di ricevere visite di notte, da parte del cavaliere. mi capita molto spesso.. diciamo pure che è molto molto raro che io riesca ad addormentarmi facilmente, senza prima parlare un po' con lui. è come un dazio da pagare, devo prima fare questa chiaccherata. e quando parlo con questo cavaliere, o se vogliamo, quando parlo con me stesso, riesco a scindermi in due parti (quasi fisicamente intendo) in un gioco di domande e risposte degne del miglior psicopatico. chiamatelo cavaliere, chiamatelo coscienza o più semplicemente, se volete, chiamatelo paolo. ho sempre paura di essere sull'orlo della pazzia, quando parlo con lui, ho sempre paura di scivolarci dentro. come dicevo nella citazione, questa è una storia vera, perchè è inventata da capo a piedi. un po' come i sogni che facciamo: nella realtà non esistono eppure nella realtà del nostro dormire si palesano. comunque, mi capita quasi tutte le notti: rimango lì con gli occhi sbarrati, mi giro e mi rigiro nel letto, poi all'improvviso, una vocina nel mio cervello si fa sentire, all'improvviso, chiedendomi come mai non riesca a dormire:
"non riesci a dormire, eh"
"no"
"come mai?"
"non fare domande idiote, lo sai"
"paura eh.."
"no di certo. al massimo insonnia. e perchè mai dovrei avere paura, a parte tutto?"
"e lo chiedi a me? hai sempre paura di tutto tu. paura per i tuoi soldi, per il lavoro, per l'auto. hai paura per i tuoi genitori.."
"allora al limite possiamo chiamarla apprensione, e non ci vedo nulla di male"
"ma quale appresione? apprensione è se ci tieni ad una persona, tu mica ci tieni ai tuoi.."
"può essere.."
"non 'può essere', è, caro mio, è così. ma guardati.. non ti fai schifo?"
"no. a volte, si"
"e non è abbastanza, si vede. com'è che parli sempre male di tuo padre, a chiunque? che ti ha fatto, dopotutto?"
"niente in particolare, ma molte cose in linea generale"
"bella risposta del cazzo. sono 24 anni che ti dà da mangiare, paga per te, ti ha mandato a scuola, ha fatto tutto quello che gli hai chiesto, anche se devo dire, non sei mai stato uno che chiedeva molto"
"allora?"
"allora ne parli sempre male, ti pare giusto?"
"è questione di carattere, non andiamo d'accordo"
"non è questione di carattere. non solo quello, almeno. ne parli quasi come se fosse un coglione, quando proprio non lo definisci tale"
"è perchè lo penso"
"piangerai al suo funerale?"
"che domande sono, non lo so"
"ti ho fatto una domanda, rispondi! piangerai al funerale di tuo padre?"
"non lo so!! penso di si, ma non lo so.."
"e già fai schifo, vedi. già il fatto che non sai se piangerai o meno al funerale di tuo padre è abbastanza per definirti una persona di merda. poi fai il poetico, con i libri , le citazioni, le canzoni.."
"questi due discorsi non s'allacciano per niente. che c'entrano le lacrime con la letteratura"
"come fai ad avere cuore per leggere una poesia se non sai piangere per un padre che muore? quando questo è tuo padre, poi.."
"senti, non la finisci con questi discorsi?"
"vedi che non sai dare risposte? hai paura a parlarne persino con te stesso"
"ehi.. lasciami dormire, basta così"
"tanto soffri d'insonnia, ormai si sa. e quella stronzata di spendere 120 euro per la telefonata all'899? i miei complimenti, guarda.."
"i soldi li guadagno.. e me li magno, diceva qualcuno, no?"
"e non ne provi rimorso?"
"un po'. dai, mi dispiace aver gettato via tutti quei soldi, ma finisce lì"
"il cazzo finisce lì. ci pensi tutti i giorni, dì la verità. non passa giorno senza che non ti fermi un minuto a pensare a quei soldi che hai buttato. avevi pure 550 euro di debito con tua madre e tu vai a chiamare l'899 per una telefonata di tre quarti d'ora... fai sempre più schifo, paolo.."
"va bene, ho fatto una cazzata, quel che è fatto è fatto, andato, stop. i soldi li ho dati indietro, ho stretto un po' la cinghia per un mesetto e ce l'ho fatta. risultato: ho fumato meno per 30 giorni, cosa positiva. tutto qui"
"dio, meno male che hai lo stipendio tutti i mesi, sennò eri morto. e poi non li hai ridati tutti i soldi, mancano ancora 100 euro"
"100 euro non sono un cazzo. li posso dare via benissimo appena prendo il prossimo stipendio"
"e via soldi anche da lì..."
"cristo ma mi servivano per l'assicurazione!! è una cosa obbligatoria, basta con queste stronzate del cazzo, basta!"
"come vuoi, basta così. caldo oggi, eh"
"non si respira.."
"certo che smettessi di fumare.."
"bhè?!"
"perlomeno avresti i polmoni un po' più liberi"
"con tutte le cose inquinate che mangiamo"
"non è un buon motivo, e lo sai. con tutte le cose inquinate che mangi, beh? ti ricordi cosa ha detto il dottore alla visita per il concorso?"
"si, me lo ricordo.."
"ti fece la lastra al torace e ti chiese se eri o no un fumatore. tu rispondesti di sì e lui ti disse 'allora smetti, che è meglio..'. ti si vedeva già dalle lastre che i polmoni erano neri, e sono passati 3 anni da allora.. 3 anni nei quali, ricordo, hai fumato anche 3 pacchetti al giorno..."
"devo smettere di fumare"
"e quando? campa cavallo..! tanto lo sai che non sei uno di quelli che 'smetto quando voglio', non hai per niente forza di volontà"
"prima o poi prenderò la decisione e smetterò di fumare"
"come no. intanto potresti covare già qualcosa"
"se covo qualcosa, al massimo è rancore per te"
"che sarebbe come dire 'covo rancore nei miei confronti'. ma non capisci proprio niente, eh? allora te lo spiego io, cos'è. smetti di fumare, smetti di dire stronzate sui tuoi genitori e su tua sorella. metti la testa a posto, che sei grande ormai. smettila anche di farti le seghe, metaforicamente e no"
"..."
"allora, dicevo.. potresti covare qualcosa nei polmoni. non credere che il tumore venga solo a chi fuma da trenta e passa anni. quand'eri all'ospedale, con tuo nonno, te lo ricordi? quanti malati c'erano, che non superavano i quarant'anni? già la vedo, la ninfea nel petto di chloè.."
"cristo, stai zitto!!"
"a proposito di ninfea di chloè, smettila di buttar soldi nei libri, tanto è inuile: non impari a scrivere da lì"
"se non li leggessi, di sicuro non migliorerei"
"ma non li leggi con attenzione, caro. lo fai per collezionismo, per vanto, tutto qui. per nozionismo, ecco la parola giusta"
"smettila anche con queste stronzate, mi vuoi mettere pulci nell'orecchio e non sai nemmeno di che cazzo parli, stai zitto"
"sarà.. ma resta il fatto che non scrivi come si deve. non che sia un obbligo o un dovere, per carità, ma se dici che ti piace scrivere e poi questi sono i risultati, ascolta me, ritirati"
"quello che scrivo lo faccio anche per il gusto di rileggerlo, non ho ambizioni di nessun genere"
"e sbagli. lo sai qual'è il tuo problema? quando entri in una libreria, guardi tutti quei libri... il tuo unico sogno è quello di vedere una cosa tua lì in mezzo. una cosa con su scritto un bel titolo di quelli che strizzano l'occhio, il tuo nome come 'autore'... tutto qui. per quanto ti riguarda potresti anche lasciare le pagine in bianco. vuoi solo apparire, non essere, mio caro paolo"
"io SONO, e per giunta ti garantisco che non ho nessuna intenzione di apparire"
"vai a raccontarla a qualcun'altro questa cosa, ora stai parlando con te stesso e non puoi mentire, a meno che..."
"a meno che?!"
"a meno che non vuoi essere uno dei tanti che si illude da solo. oh, sentimi, non c'è mica nulla di male, ma.."
"ma?"
"ma fai tanto il disilluso, il disincantato. ti piace apparire così, e poi dentro rimani uno che ci trova gusto nel mentire anche a se stesso. sei uno che ci rimane male per tutto, qualsiasi tipo di rifiuto. allora vedi che tieni più all'apparenza delle cose? ti piace l'involucro, la copertina, il titolo. il contenuto è superfluo.."
"stai dicento un mare di cavolate"
"sto dicendo un mare di verità e non riesci più a stare a galla, ecco cos'è"
"io preferirei che la smettessi anche con questo argomento.."
"se ti brucia davvero tanto.."
"NON MI BRUCIA, MI INFASTIDISCE SENTIRE QUESTE COSE DA TE, BASTA!!"
"a proposito, sai cosa pensavo?"
"avanti, dimmi, sperando che sia l'ultima cosa per stanotte.."
"uhm, non essere troppo ottimista. pensavo, a proposito del discorsetto di prima.. ma perchè credi che inizi ogni racconto con una citazione? bukowski, groucho marx, kerouac, dylan.. eh, come ti piace infilare veri scrittori nella tua merda, eh?!"
"sei patetico"
"patetico un paio di palle. l'unico scopo è quello di sembrare uno che sa, come vedi, ancora del nozionismo, tutto sommato. tu vuoi che la gente legga e pensi 'ma com'è bravo a scrivere sto paolo' e ci metti la citazione che fa tanto 'chic', così almeno loro hanno qualcosa da leggere, che sia davvero attinente con la letteratura"
"hai finito?"
"se ci tieni posso andare avanti.."
"non ci tengo e tu avanti non ci vai. rientra nel buco da dove sei venuto fuori e lasciami dormire"
"insonnia, insonnia, insonnia.... brutta bestia eh?"
"la smetti?"
"bevi l'equivalente di 20 caffè al giorno! non vorrai mica prendertela con me? io sono soltanto un piccolo demone che viene a farti compagnia, anzi sai cosa ti dico..?"
"scommetto che dovrei anche ringraziarti di questo.."
"bravo. se non fosse per me, andrebbe tutto perso. tutto quello che vedi, senti o leggi in una giornata, andrebbe tutto perso. io vengo qui, e ti aiuto a riordinare tutto, nella tua testa. stammi a sentire, fai solo un piacere a te stesso se chiacchieri con me"
"un piacere che potrei (vorrei) francamente evitare.. ora sparisci per cortesia, mi fai dormire..?"
"non ancora, caro, non ancora. controlla il cellulare"
"perchè?"
"guarda un po' se ci sono chiamate, squilli.. ahahahahah, scusa non riesco a trattenere le risate.."
"..."
"dove sono andati tutti?"
"non lo so. e non voglio saperlo. staranno facendo i cazzi loro, immagino"
"dì pure 'staranno facendo una vita normale' al contrario di te. sai.. ci si alza (ad un'ora decente), si va a lavorare, si mangia, si esce con gli amici, ci si vede col fidanzato/a, cose normali, non ti credere. cose che tu non fai, comunque"
"al momento sono in fase di stallo"
"ma smettila.. sono 24 anni che ripeti di essere in fase di stallo! sei patetico, non l'hai capito ancora? anzi, fai schifo, molto semplicemente"
"ma che male c'è ad oziare?"
"guardati. ingrassi 1 chilo al giorno, stai sempre davanti al computer, non scopi da una vita, provi a scrivere qualcosa e non riesci a fare nemmeno quello. per scrivere ci vogliono esperienze, a parte talento, che non hai, ma dimmi un po'.. tu che esperienze fai 24 ore su 24 a casa?"
"per ora me la godo. poi ad ottobre, quando andrò via, comincerò di nuovo a vivere. lo sai che non mi piace stare a casa.."
"non ti piace però ci sei venuto! hai scelto ferrara e dopo due anni non ce la facevi più, stavi sclerando. secondo me, alla prossima destinazione, tempo 1 anno e mezzo e ricominci a dar di matto"
"è il mio carattere"
"è che ti puzza la vita, caro. sputi nel piatto dove mangi. progetti sempre di lasciare tutto per andartene chissà dove ma ci stai ancora attaccato, al lavoro, a casa, ai soldi. facevi il ribelle, tempo fa, te lo ricordi?"
"prima o poi si inseriscono tutti, è una cosa normale"
"è una cosa da vigliacchi. ma torniamo al discorso di prima, è il tuo carattere dici, eh? non ce la fai a rimanere a lungo in un posto solo. ti stanchi subito, eh? bella prospettiva. bel modo di vedere le cose. bel modo di trattare la gente. tu sai a chi mi riferisco, no?"
"oh ti prego non ricominciare, non ce la faccio, basta.."
"no, certo, non ricomincerò a parlarti di miriam, di loretta, stai tranquillo, sarò muto come un pesce. miriam ebbe una paresi facciale, te lo ricordi? causa tua, no?"
"lei disse così, ma bisogna vedere. aveva tanti di quei problemi.."
"aveva problemi allo stomaco, alle ovaie. non problemi di nervi. quelli sono venuti per causa tua. oggi sei la mia ragazza, domani no, la settimana prossima la mia amica intima e quella dopo ancora vedremo..."
"era anche colpa sua"
"ah, già, colpa sua, certo. fammi provare ad indovinare. colpa sua perchè non ti ha impedito di trattarla così. colpa sua perchè ti è rimasta accanto mentre la trattavi come uno straccio. oh scusa, il paragone non calza: gli stracci una volta usati si lavano e si mettono al posto, tu non hai avuto nemmeno la dignità di far quello.."
"colpa sua perchè mi ha caricato di troppe responsabilità"
"l'unica responsabilità che avevi nei suoi confronti era quella di amarla, e basta. e fare tutto quello che una persona che si presume ami un'altra deve fare: starle accanto nei momenti difficili"
"le sono stato accanto, nessuno può dire il contrario. ma dopo un po' ho avuto problemi 'di nervi' anch'io, diciamo pure così"
"tu dici 'problemi di nervi', io dico che ti eri semplicemente rotto il cazzo. come con loretta, del resto. dio santo, meno male che con lei non è andata a finire nello stesso modo sennò ora eri in qualche ospedale psichiatrico. ringraziala mille volte al giorno che ti ha perdonato, che ti ha lasciato parlare quando stavi male, sennò i rimorsi ti mangiavano vivo"
"ho sofferto alquanto"
"ma sentilo il signorino.. 'ho sofferto ALQUANTO'. le hai mai chiesto se ha sofferto anche lei?"
"si, dio santo, SI!"
"una paresi facciale, dio santissimo, dovresti rinchiuderti da qualche parte a meditare sui danni che hai arrecato a tutti"
"
non sono il responsabile di tutti i mali del mondo, cristo!"
"potevi essere chiaro dall'inizio, potevi essere coerente, invece di fare tira e molla per mesi"
"smettila. maledetto, maledetto!"
"maledetto tu, caro mio. chissà quanti ti hanno maledetto.. e tu vuoi dirlo a me? sei comico. anzi, no, scusa.. patetico è la parola giusta"
"ti prego, basta, non ce la faccio più. vai via, per piacere? vai via, mi lasci dormire?"
"certo certo, vado via, non preoccuparti, vado via. sta pur certo che ti lascio dormire, ora.. se ci riesci. spero di non averti messo l'anima in subbuglio"
"ora che fai, fai finta di scusarti?"
"non mi scuso mica. voglio solo dirti che non volevo metterti l'anima in subbuglio, e se l'ho fatto, non dare la colpa a me. la colpa è solo tua, di tutto ciò che hai fatto"
"sparisci... e non tornare più"
"io sparisco. tanto domani notte ritorno, lo sai. magari anticipo un po' e arrivo di pomeriggio, mentre sei in giro nella tua bella macchinina, che non vuoi pensare a niente.."
"sparisci!"
"ci vediamo domani, caro. stammi bene.. e buonanotte"
"non tornare ti prego.. TI PREGO, non tornare"
"vedremo..."
ma nelle notti successive, io lo so... tornerà ancora.

mi ricorderò di te

"ci sono persone che non puoi dimenticare, anche se li hai visti una volta o due" (bob dylan)

4 agosto 2007. ormai quasi 5 agosto, ma non importa. quel che conta è quella canzone che è passata nel mio lettore mp3, connesso allo stereo. springsteen, dio quanti ricordi quella canzone. "janey don't you lose heart" passa e mi ritorna in mente parigi, il 1999, 4 maggio, la tour eiffel. quest'anno ci sono ritornato e ho pensato anche a te, nonostante non l'abbia scritto nel racconto. cosa vuoi che interessi agli altri, di te? ma a me si. passa questa canzone e mi ricordo ancora di quei momenti. i tuoi sguardi, la tua amica che mi diceva con gli occhi 'fatti avanti', io imbarazzatissimo. poi, a pensarci bene, è buffo perchè proprio il 4 agosto del '99 io ricevetti la tua lettera. e allora perchè non provare a cercarti? ma sei fuori, paolo? come fai a cercare una persona su internet, una persona sconosciuta? eppure eppure... trovo un sito di universitari, leggo qualche scheda, mi sforzo di capire il cecoslovacco, vado a senso... poi la tua scheda. manca la tua foto, purtroppo. altrimenti avrei potuto dire subito "eccola, si! è lei!". c'è la tua mail. ti scrivo. parole delicate, non voglio spaventare nessuno. ma se una persona con la quale avete fatto una foto e scambiato qualche lettera, venisse a cercarvi dopo 8 anni di silenzio, voi sareste spaventati? mi sento un adolescente, in questo senso. l'adolescenza è quel periodo della vita nel quale, se chiamano a casa e i tuoi genitori dicono "è per te", tu ne sei felice.. diceva qualcuno. io ne sono felice ancora adesso. sono rimasto un adolescente ma.. che bello! beat beat beat. beatificati e battuti. sono ancora sulla strada, e che sensazioni! questa è per te, ovunque tu sia. che tu sia la persona che cerco, o meno, questa è per te, jana. qualsiasi cosa tu stia facendo in questo momento.. io sto pensando a te. martedì 4 maggio '99, tour eiffel, foto insieme. martedì 4 agosto '99, ricevo la tua lettera, in televisione davano "i diavoli", con alberto sordi. rai uno, ore 14,30. stavo vedendo quel film quando il postino suonò al citofono. dimenticai il film: aprii la lettera, emozioni, emozioni, la nostra foto insieme, i tuoi occhiali con la lente gialla. l'unico vivido ricordo di te, sino a quel momento. dio, eri ancora più bella di quanto ricordassi. martedì 4 maggio, martedì 4 agosto... e vi chiedete ancora perchè mi firmo martedì? i primi di una lunga serie.
ancora una volta, questa è per te.

domenica 29 luglio 2007

un'auto da 14.400 euro e un televisore da 80

"trovo la televisione molto educativa. ogni volta che qualcuno la accende, vado in biblioteca e leggo un buon libro" (groucho marx)

"i got a little black book with my poems in" diceva nel 1979 roger waters (ho un piccolo libro nero con le mie poesie dentro) e tutto sommato, non mi dispiace avere il mio (o la mia? qualcuno sa illuminarmi in proposito?) moleskine, dove preparare le bozze per quello che poi ho voglia di scrivere, in italiano corretto. nella stessa canzone waters continuava così "...e ho 13 canali di merda da scegliere in tv" (a dir la verità aggiungeva anche "..e quando faccio il bravo cagnolino, a volte mi tirano un osso", ed è una sensazione che ho provato infinite volte, ma adesso ho quasi smesso di pensarla in questo modo.. quasi). dicevamo, i 13 canali di merda da scegliere in tv. sono passati 30 anni da quella canzone e quei canali si sono moltiplicati, da 13 sono diventati 30, poi 50, poi 100, poi... poi abbiamo perso il conto. ma non si poteva dimezzare il numero e migliorarne la qualità? no, non è possibile: "il consumatore, il telespettatore DEVE avere la VASTA scelta, la scelta COMPLETA dei nostri prodotti migliori!" direbbe qualche capoccia. giusto.. scusate l'ignoranza. e quali sarebbero i vostri prodotti migliori, vien da chiedere. posso dare un'occhiata al meù? mmm vediamo, accendiamo questa tv. raiuno, un programma a caso: porta a porta. cominciamo bene, benissimo! il suddetto programma prevede quanto segue: 1. ri-ri-riapprofondimento del caso di cogne (dio sia lodato che la gente ha già dimenticato erika e omar. beh.. l'hanno dimenticato tutti tranne paolo crepet, è chiaro. mi dà l'impressione del cassico tipo equilibrato che poi in casa si masturba sui giornali sperando di leggere un nuovo caso dove il figlio/a uccide i genitori. "evvai, trovato! altre 30 puntate assicurate da vespa!" ...splat!); nella seconda parte della trasmissione ci sono i politici. bene, è giusto dare spazio alla politica. come? che dite? sono venuti solo per cantare "volare" di modugno...? ah.. vabbè dai, meglio di niente.. uh, guarda com'è sciolto quel mastella al karaoke! e com'è timidone fassino! certo anche d'alema, sarà anche un pezzo di legno, ma che fascino con quel baffetto! vespa, io sarei un consumatore medio, posso una domanda? mai sentito parlare di servizio pubblico? che dici? non ti risulta? vabbè allora perchè non provi a chiedere, ad esempio, ai tuoi illustri canterini come mai si aumentano lo stipendio di 1000 euro ogni sette-otto mesi? così, mica per fargli i conti in tasca (non ho tutto questo tempo). e come mai, a fronte del più alto stipendio in europa (per la categoria) c'è anche il più alto tasso di assenteismo? così, è solo curiosità, la mia. vespa, prometto che se mi danno una motivazione giusta mi ficco la lingua in culo e non parlo più. dici che non c'è tempo? ah, la prossima volta glielo chiedi. ora non puoi sennò sfori e chi li sente quelli del palinsesto? hai ragione anche tu.. terzo punto: POLITICA! evviva, vespa s'è svegliato, ora si parla di politica, bene! per quanto riguarda la politica, c'è alba parietti che ci spiega la sinistra italiana e vladimir luxuria che parla della sua amica cubista, trans ovviamente. ma come, tutto qui? giusto, vespa, mica è colpa tua se gli italiani hanno votato luxuria come parlamentare. ora che è lì, la gente vuol sapere. e tu la fai parlare... vespa com'è che hai ragione SEMPRE, mannaggia.. e io che ti criticavo. vabbè vespa, non t'offendere, io giro sul due. bene bene, anche in questa rete, diretta (a suo tempo) dal sovversivissimo freccero, c'è ampia facolta di scelta. "i fatti vostri", dove la gente va a raccontare i cazzi propri ..e poi piange, naturale. il tg2 costume e società: il party per il compleanno di mick jagger, il concerto in onore di diana, il classico servizio sugli yacht più belli del mondo.. insomma, dei bei servizi certo (!!).. ma quando si comincia a parlare di lapo elkann comincio ad attendere con una certa impazienza tg2 salute, ed è tutto dire. grazie a dio, o grazie a luciano onder (con quella voce fastidiosissima... ma perchè cristo non lo doppiano come fanno con la dellera?), anche oggi ho scoperto qualcosa in ambito medico. cosa, vi starete chiedendo. beh, notizie sensazionali, cari miei, scoop da prima pagina di rivista scientifica! sentite qui: lo sapevate che il cioccolato fa venire la carie, eh? scommetto di no. e poi.. lo sapevate, dite un po', che il diabete è una malattia serissima che non va presa MAI sottogamba, eh? continuate a ingozzarvi di zuccheri, mannaggia a voi, che se non c'era onder qui eravamo tutti morti, già. a proposito, qualche consiglio che ho imparato dall'ottima rubrica salutistica: d'estate, è consigliabile mangiare molta frutta e verdura, ed occhio a non andare in spiaggia tra le 12 e le 15, sono le ore più calde! per i bambini e gli anziani, meglio non esporsi troppo ai raggi solari. poi l'immancabile servizio sulla prostata e la cicciona sulla bilancia che viene misurata. sibilando tra i denti un "ma vai a cagare, onder..", passo su raitre. in questa rete che si dice occupata da comunisti abbiamo il solito documentario sulle locuste in amore (si alterna ogni mese con il sommozzatore e gli squali, sempre quelli) e varie repliche di licia colò, poi enrico ghezzi con quell'orrenda magliettina bianca della salute che ci parla, con la solita voce fuori sincrono (ma che colpo di genio...) dei capolavori russi anni '20 targati eisenstein (tanto per cambiare, enrico..) e di come il genio visionario di lynch abbia condizionato il modo attuale di fare cinema. adesso, non voglio farla lunga criticando tutti e tutte, ma c'è troppo da dire sui programmi targati mediaset e mi basterà fare il nome di emilio fede, maurizio costanzo, maria de filippi ed enrico mentana (solo per citare qualcuno) e capirete un po' tutti che non bisogna aggiungere altro, l'effetto comico (o involontariamente comico, basti guardare il tg4 o matrix su canale 5) è assicurato. non si salva niente, striscia la notizia non è mai stata satira e la bignardi con le sue "invasioni barbariche" sarebbe capace di far rimpiangere le previsioni meteo. per il resto, pacchi, pacchettini vari e tg regionali, madonna come siamo messi male. la televisione italiana avrebbe bisogno di gente con i coglioni. non ricordo bene chi è stato, ma qualcuno ha detto che per cambiare una televisione del genere, la si deve far fare a chi la odia. solo così, potrà cambiare. peccato che paolo rossi, daniele luttazzi, sabina guzzanti e tanti altri (per non parlare di grillo) son stati spediti in ferie. qualche giorno fa vedevo su you tube un video di marco travaglio nel quale si parlava proprio della censura della rai ai danni di paolo rossi, ed è una simpatica storiella che vale la pena di raccontare. è una storia accaduta un paio di anni fa, ma ovviamente non è stata fatta molta pubblicità, a parte qualche trafiletto sui giornali. rossi aveva scritto questo spettacolo teatrale chiamato "questa sera si recita di molière" nel quale rileggeva in chiave moderna il "medico per forza" di molière (mi sembra sia quello, ma non ci metterei la mano sul fuoco), commedia che narra le gesta del dottor sganarelli, dottore che si inventa un unguento magico e truffa la gente millantando guarigione per tutti quelli che avrebbero fatto uso del suo olio (una specie di wanna marchi ante litteram). rossi, "folgorato" all'epoca dall'immagine di berlusconi chino sulla scrivania di vespa mentre firma il celeberrimo contratto con gli italiani, ha appunto l'idea di rileggere la commedia di molière facendo evidenti paragoni e accostamenti tra berlusconi e sganarelli. prima porta in giro lo spettacolo per qualche tempo e poi la rai decide di comprarlo, a scatola chiusa (!!), mandando in onda il primo atto su raidue all'una di notte, in un'ora da clandestini. succede l'inatteso: inaspettatamente fa un milione e mezzo di ascolto. ferrario, all'epoca direttore di raidue, si meraviglia di come uno spettacolo (che non aveva nemmeno visto, questo è il bello) potesse portare tanta gente a guardare raidue a quell'ora della notte, e decide di visionarlo per bene. come dice ironicamente travaglio, lì ferrario si accorge, ahi lui!, che si è fatta della satira in tv, involontariamente, ma la si è fatta. ovviamente, rossi sarà prontamente censurato e la gente non avrà modo di vedere il seguito di "questa sera si recita molière". dato che non si poteva parlare di censura, raidue, tramite un comunicato ansa, avvertiva che lo spettacolo sarebbe stato cancellato per "pulizia linguistica" dato che si erano contate ben dieci parolacce nello spettacolo di rossi, e questo non potevano permetterlo, dato che "il nostro pubblico è abituato ad un linguaggio molto più raffinato". prontamente rossi ed i suoi avvocati hanno fatto causa alla rai, ma in un modo molto particolare: hanno raccolto un esempio del linguaggio "morigerato" che va in onda (in prima serata, però) su raidue per vedere se fosse esente da parolacce. e qui riscrivo in parte il messaggio di querela degli avvocati di rossi, che è una cosa fantastica: "a mero titolo esemplificativo si ricorda che la rai negli ultimi mesi ha mandato in onda nella cosiddetta 'fascia protetta' programmi come 'il ristorante' e 'l'isola dei famosi' senza che la dirigenza abbia adottato mai alcun provvedimento sospensivo, nemmeno quando pamela prati ha accusato serena grandi di avere vinto 'l'oscar della monnezza', nè quando antonella elia ha detto a totò schillaci 'sei ignorante e puzzi', a patrizia pellegrino 'ti puzza il fiato' o ha descritto aida yespica come una 'tutta tette culi e calendari', costringendo la soubrette a replicare 'si, io c'ho il culo e le tette, e allora?' e infine 'sei una merda, dovresti andare dallo psicologo'; il tutto in un clima talmente infuocato da indurre ana laura ribas a sospettare che 'la produzione fa la cacca vicino alle nostre tende per mettere zizzania tra di noi'. d'altronde, lo scorso anno, sempre su raidue, la contessa patrizia de blanck non ha potuto fare a meno di dire a carmen russo 'sei una stronza' e ad adriano pappalardo 'ma vaffanculo' mentre nel programma la talpa, anch'esso con striscia quotidiana, in fascia protetta il pubblico ha potuto gustarsi don backy che definisce 'vecchia befana' marina ripa di meana, che immediatamente gli dà del 'cialtrone', mentre prontamente interviene samantha de grenet in difesa del cantante, ricordandoci che la contessa ha dedicato tutta la sua vita alla pornografia e di conseguenza si prende della 'sgallettata' e così, tra un 'ma vai al cesso' ed un 'se apri la bocca ti si accavallano le gambe' (straordinario), chiude il dibattito l'attrice nadia rinaldi che consiglia a tutti di 'alzare le chiappe', anche se bisogna ammettere che sin dalla prima puntata l'ospite vittorio sgarbi aveva già avvertito in diretta gli spettatori che il programma 'è una cagata', anche se amanda lear era di tutt'altra opinione avendogli risposto 'cagata tua sorella'." questo è una parte del (grande) messaggio degli avvocati di rossi alla rai ed è in buona sostanza uno dei tanti motivi per cui io rifiuto di guardare la televisione. io rifiuto l'esistenza stessa della televisione. tutti questi personaggi, per me, non esistono, non ci sono. perchè mi fà una gran rabbia vedere gente con le palle che è costretta a girare per teatri, giornalisti con gli attributi che posso parlare liberamente su internet ma non tramite tubo catodico, comici cacciati perchè vogliono leggere testi di pericle in tv (altro caso ridicolo di cui nessuno ha parlato abbastanza: ancora paolo rossi a cui è stato impedito di leggere un testo di pericle a domenica in, perchè ritenuto alquanto fazioso, al limite dall'anti-berlusconiano. pericle. vissuto 500 anni prima di cristo. inutile aggiungere altro, si commenta da solo). uno degli ultimi spettacoli di daniele luttazzi aveva un sottotitolo che ancora adesso, se ci ripenso, non so se ridere o piangere: "adenoidi - bin laden può andare in televisione e io no". ora questa cosa che ho scritto non vuole in nessun modo essere una "denuncia" di un regime o presunto tale che esiste in tv o sui giornali. il fatto è che a me non frega niente, ma davvero non voglio avere niente a che fare con queste persone. se devo pure acquistare una tv e pagarne il canone poi.. lasciamo stare. con 80 euro potete comprare un buon televisore. con 80 euro potete avere tutta questa immondizia: se volete, avanti fatelo. siete liberi. a casa mia (se e quando l'avrò) la televisione non ci metterà mai piede.. o filo, o antenna. nemmeno per 80 euro, nemmeno regalata. tutto questo, dicevo, mi fa rabbia e io non voglio più arrabbiarmi. ho smesso di incazzarmi col mondo qualche tempo fa e ora scopro che ci sto davvero bene. ora mi voglio solo rilassare... e cosa faccio per rilassarmi? ormai si sa.. mi metto in auto e faccio un bel viaggetto. certo per realizzare i tuoi sogni devi avere i mezzi economici necessari. spenderò qualcosina in più, ma almeno mi rilasso per davvero. vedo posti nuovi, conosco gente. chissenefrega se i sogni costano? qualche sacrificio, un po' di soldi da parte.. certo non è come diceva manfredi "basta che c'è la salute e 'n par de scarpe nove e puoi andare in capo al mondo", ora non è più così semplice. costa tutto così tanto! ad esempio, prendiamo la mia auto. la mia auto l'ho pagata (la sto pagando!) 14.400 euro. una discreta somma, ma in 36 comode rate mensili da 289 euro e spiccioli.
anzi, sapete che vi dico? quasi quasi mi metto in auto e vado a fare un giro. mmm, ci vuole della musica, che metto? dylan.. naaa, non mi va. springsteen? no, nemmeno. dai accendiamo la radio, chissà che non capiti qualche vecchia canzone:
bzzz zzz csss cssss crrrcrrrrrrcr mmm bene, radio revival!

"viva la RAI
ci fa crescere sani…
viva la RAI, viva la RAI
quanti geni lavorano solo per noi…
viva la RAI
con il suo impero
dice la RAI
soltanto il vero
viva la RAI
dimmi da quale parte stai!"

click. forse è meglio se non ascolto niente, và..

mercoledì 25 luglio 2007

pensiero pomeridiano

ecco una frase che avrei potuto usare come incipit, nel racconto del mio viaggio in scozia. ma io non sono jack kerouac e certe frasi... beh, potevano venire in mente solo a lui.


"come è strano essere lontani da 'casa'
quando la distanza è un intero continente
e non sai neanche più dove sia la casa tua
e la 'casa' che ti resta è solo quella che hai in testa"
(kerouac)

una notte lunghissima

"tutti i vicini pensano che noi siamo strani. e noi pensiamo lo stesso di loro. e facciamo tutti centro" (bukowski)


sin da quando ero bambino, la mia abitudine era quella di nascondermi, tra la tenda e il vetro della finestra. ovviamente, mi nascondevo con la speranza di poter essere trovato... e non è tutto sommato quello che fanno anche i suicidi? mi spiego meglio: molti psicologi dicono che le persone che tentano il suicidio cercano i metodi più bizzarri o meno “adatti” alla loro personalità proprio perchè, nel recondito inconscio, sperano di potersi salvare. in modo che rimanga, "sulle cronache", per così dire, solo il proprio tentato suicidio. un po’ come dire alla gente: “ehi, sono qui, possibile che non riusciate a vedermi? beh, ora non potrete più girare la testa dall’altra parte, ora vi accorgerete di me..”. e così: tentato suicidio.. la gente accorre, il suicida si salva, le persone si preoccupano per lui. dopo un po’ tutto torna come prima. il suicidio è solo un metodo per ribadire la propria volontà di vivere, per quanto paradossale possa sembrare. il suicidio significa “io voglio bene alla vita, ma non posso viverla così, devo liberarmi di questa non-vita”.
ma torniamo a noi.. sin da quando ero bambino, ho iniziato così, no? bene, sin da quando ero bambino il mio gioco preferito era quello di nascondermi, tra la tenda e il vetro della finestra. così la gente, quella in casa, poteva vedermi bene, ed io davo loro le spalle quindi non sapevo quando mi avrebbero trovato.. e nell’attesa, rimanevo a guardare il mondo dalla finestra chiusa. mi piaceva guardare la strada, la gente.. ed è particolare notare come preferissi guardare tutto questo senza sentirne i rumori, quasi mi piacesse ma non così tanto da buttarmici dentro. è un gioco, questo, che è proseguito per tanto tanto tempo. ancora adesso, quando ne ho la possibilità, lo faccio: posso rimanere anche delle ore, in piedi, dietro la tenda, con la fronte appoggiata al vetro.. a guardare il mondo di sotto. questa abitudine (o gioco, come vogliamo chiamarlo?) si è trasformata, col tempo, nella mia passione per il viaggio in auto. è un po’ la stessa cosa: di dietro la gente che mi vede, io che rimango fermo con un vetro davanti, guardo il mondo e sono al sicuro, protetto nel mio involucro. è una bella metafora, questa: mi piace il mondo ma certe volte.. proprio non voglio farne parte. l’ultima volta che ho giocato a questo gioco è stato poco meno di un mese fa, in quella che ho definito la notte più lunga della mia vita. ora, piccola parentesi: ma si può parlare, a 24 anni, di “notte più lunga della mia vita”? cioè, quante altre notti, magari anche più lunghe, trascorrerò in futuro? non è un po’ troppo presto per definire qualcosa “la più lunga, la migliore, la più incredibile etc.. della mia vita?”. d’altronde non posso mica parlare, tanto per fare un esempio, della dormita più bella dei miei ultimi 24 anni.. che senso avrebbe, a parte essere ridicolo? e poi si perderebbe quel senso di fascino, di patetico eroismo oserei dire, nel definire qualcosa in relazione alla propria (intera) vita. avete mai sentito qualcuno che vi raccontava il giorno più bello dell’ultimo mese e mezzo? o il viaggio più bello degli ultimi 7 anni? parlano tutti così, e io in un certo senso voglio adeguarmi. ma torniamo ancora alla storia, che sto raccontando in un modo confuso e bizzarro, senza dubbio volgare.
l’ultima volta che mi sono nascosto è stato circa un mese fa, in quella che definisco ...vabbè, ci siamo capiti. ero a palermo, fine giugno, giornata (e serata) a dir poco torrida: le due di notte e c’erano all’incirca quaranta gradi. ero tornato con i miei amici da cefalù, meta decisa per l’unica vera ragione di alleviare per un po’ le nostre pene dovute all’eccessiva calura. tornammo in camera, doccia, sigaretta, solita chiacchierata. il mattino seguente loro due avrebbero lavorato mentre a me spettava un giorno di riposo dovuto al turno precedente. mi misi a letto, mi giravo e rigiravo, niente da fare, guardai l'orologio sul comodino, che segnava le
2.35.
"proprio non ce la faccio a dormire, loro sono già nel mondo dei sogni, li invidio da morire"; rimasi con gli occhi sbarrati a fissare il buio, cercando di dormire, cercando di non pensare a quella dannatissima zanzara (o era più di una?) che mi ronzava all’orecchio costringendomi a schiaffeggiarmi di tanto in tanto, come se non bastasse già il caldo a darmi fastidio.
2.40.
"dormire non è possibile, devo vestirmi e andare via.. basta, cazzo!"
2.45.
mi misi in auto, uscii dalla caserma col piantone che mi guardava un po’ stranito,
"ma dove vai a quest’ora?"
"lascia perdere, guarda.. dormi, se puoi, che è meglio."
"dove vado, dove vado?" presi l’autostrada, direzione messina. avevo bisogno di guidare, di nascondermi un po’ da questo mondo, avevo bisogno di pensare, di star da solo. un sacco di pensieri s'affollavano nella testa, dovevo scrivere una lettera a daniela e non sapevo nemmeno da che parte cominciare.. cominciai ad impostarla piano piano nella mia testolina e mentre pensavo e ripensavo a cosa scriverle mi accorsi che erano le
3.20.
guidavo piano, per non fare tutto in fretta, perchè io di fretta non ne avevo e comunque sapevo già che rientrando in camera prima del mattino, avrei avuto solo gli stessi problemi di prima. "ho deciso, devo prendere qualcosa da bere", mi fermai in un autogrill: c’era una punto parcheggiata, il tipo nell’auto mi guardò un po’ sospetto, io feci altrettanto. entrai: la barista era dietro a sistemare qualche cartone, poi venne fuori:
“buonasera, prego?”
“ciao, mi fai un caffè macchiato freddo?” poi aggiunsi: “scusa c’è un bagno?”
“esci di qui, subito a destra”
“grazie”. uscii di lì, entrai in bagno: classica toilette all’italiana, funzionavano due lavandini su quattro e un asciugatore su due.. sapone, manco a parlarne. mi sciacquai la faccia, mi diressi verso gli urinatoi. sentii dei passi dietro, ed ecco spuntare il tipo della punto: mi si mise affianco e guardava dritto verso i genitali. io guardai lui, pensai a qualcosa da dirgli ma ci riflettei un po’ su e mi immaginai sdraiato lì in mezzo, con un coltello da qualche parte e sangue dappertutto: non era così che volevo morire. certi pensieri mi fanno passare la sfrontatezza che spesso spaccio per coraggio. evitai di guardarlo mentre lui mugugnava qualcosa di non meglio definito e continuava a fissarmi lì. sapete a cosa ho pensato in quegli istanti? ad einstein. vi racconto in breve: einstein diceva che non hai capito niente per davvero fin quando non sei capace di spiegare quello che sai, con estrema semplicità, anche a tua nonna. poi, incalzato dal giornalista “allora mi spieghi la sua teoria in modo che possa capirla!”, lui rispose “immagina di passare un’ora seduto a chiacchierare con una donna bellissima, e ti parrà un minuto. poi, mettiti seduto su una stufa accesa, per lo stesso tempo, e ti parrà un settimana. questa è la teoria della relatività”. einstein sapeva il fatto suo. beh, sostituite l’omino sulla stufa con il vostro caro paolo che veniva fissato proprio lì da uno sconosciuto, e abbiamo capito il discorso. cercai di soffocare una risata isterica quando realizzai “a chi altri verrebbe di pensare ad einstein mentre ha un maniaco di fianco, in un autogrill, alle 3 e mezza di notte?”.. forse solo a me. risi della mia unicità che spesso è l’unica ragione per cui sono contento di essere paolo l’abbate, e non qualcun altro. non mi lavai le mani (e non chiedetemi il perchè..) e mi diressi di nuovo verso il bar. il tipo uscii e rientrò nella sua punto, probabilmente ad aspettare il prossimo malcapitato. ero contento di non essergli piaciuto. raccontai l'accaduto alla barista e lei mi fece:
“guarda, questo signore è sempre qui, parcheggiato in auto, 2 o 3 notti a settimana se le fa qui. mi sono sempre chiesta il perchè ma ora che me l’hai spiegato...” poi aggiunse, ironica: “ed io che avevo paura.. ora non ce n’è più bisogno, siete voi maschi che dovete stare attenti.. come cambia il mondo! non siamo solo noi, ora, a doverci preoccupare di subire violenze..”. "senti, ti disturberebbe molto se restassi qui un po' a chiacchierare?"; avevo voglia di chiacchierare, non avevo niente da fare e il tempo sembrava proprio non passare mai. "certo, figurati.. anzi, così passa il tempo anche per me!", e così parlammo. si chiamava adelaide, 33 anni e 2 figli, gemelli. era una bella ragazza, ma si vedeva chiaramente che quel lavoro la stava portando ad un invecchiamento precoce, chissà, magari faceva sempre i turni di notte. aveva due occhiaie che avrebbero potuto competere (e vincere) con le mie e i movimenti di una persona che proprio non ce la fà più. adelaide era di tusa, 30 km da cefalù, sposata e divorziata. ora viveva con la madre, che le teneva i figli mentre lei lavorava in questo posto di merda. volle sapere cosa ci facevo io lì, a quell’ora della notte, e le raccontai un po', del mio lavoro, della mia insonnia, del caldo che non mi faceva dormire.
"fai bene a cercare la solitudine, certe volte, se potessi lo farei anche io. ma non posso più ormai.. sai com’è, per i bambini, mica per altro..”.
pensai: "no, non so com’è, non so cosa significhi avere dei figli ma grazie per avermelo detto: un altro mattoncino nel muro che mi sto costruendo", e sappiate che il muro si intitola “dammi qualche ragione per cui non vuoi una moglie e dei figli”. rimasi a parlare ancora un po’, poi, alle
4.00.
decisi di andar via. "ciao adelaide, piacere d'averti conosciuta", "il piacere è stato mio. ciao paolo, ripassa se ti capita un’altra notte insonne" e le promisi che sarebbe stata la prima a cui avrei pensato. no, forse avrei pensato prima al maniaco. "ma la prossima volta, se mai ce ne sarà una, non mi farò trovare impreparato: farò la pipì prima di partire, come i bambini"; la lasciai che rideva, quando mi rimisi in auto, con la mia musica deprimente e le lucky strike che mi deprimevano ancora di più. fumavo due pacchetti al giorno, "e quando mi deciderò a smettere?", pensavo, mentre guardavo l’orologio sul cruscotto che segnava le
4.05.
guardai il cellulare e nessuna chiamata. "nessuno mi pensa, nessuno mi squilla, nessuno mi caga, nemmeno di striscio. bene, allora continuerò a guidare". uscii a tusa, e stavolta anzichè farmela in autostrada, decisi di tornare a palermo prendendo la statale, volevo vedere una strada diversa. la statale 113 è quella che collega messina a trapani, chiamata anche settentrionale sicula. mare alla mia destra, collinette alla sinistra, la statale infilza come uno spiedino un sacco di paesini, io ci passavo in mezzo, nel buio più totale, di rado qualche lampione accesso e le strade che cambiavano nome: via repubblica, viale garibaldi, corso emanuele.. semafori, luci, bar, ristoranti che stavano chiudendo, qualche cane bastonato che andava in giro in auto, probabilmente perchè si sentiva solo come me, la luna nel cielo.. ed era una stupenda luna piena. una luna che nei momenti migliori potevo vedere riflettersi nel mare, appena uscito dal paesino, quando non c’era nient’altro che il mare alla mia destra e rimanevo lì ammutolito di fronte a tanta bellezza. mi fermai in un piccolo spiazzo. uscii dall’auto, vicino ad un passaggio a livello. "ah, se questi momenti potessero durare un'eternità! ah, se avessi qualcuno al mio fianco per parlare di fronte a questo paradiso!" solo come l’ultimo uomo sulla terra, il chiaro di luna sull’acqua, mi accesi l’ennesima sigaretta e mi appoggiai ad una ringhiera. chiusi gli occhi, cercando di non pensare a nulla, in uno di quegli istanti stranamente vividi in cui non sai veramente chi sei, non so se vi è mai capitato. "cavolo, il mondo certe volte mi fa ricredere, è proprio bello". nel mio stereo passò “julia dream” una canzone dei pink floyd. sarà stato il momento, sarà stata l’atmosfera, ma credetemi che non c’è canzone più appropriata per un momento come questo. mi rimisi in auto, "al prossimo paesino che incontro mi fermerò a prendere un caffè: non ho sonno ma è meglio non rischiare, meglio tenersi svegli. se non voglio morire accoltellato nel bagno di un autogrill, allora non voglio nemmeno morire contro un lampione, su una statale. cavolo, ora che ci penso, non voglio morire affatto! pensarci bene... vorrei solo un po’ di compagnia, chiedo troppo? vorrei solo qualcuno accanto a me, anche qui in auto, ora, che voglia parlare un po’ di come vanno le cose". certo, qualcuno direbbe che sono i soliti discorsi deprimenti e inconcludenti, ma io penso che se non vi siete mai fermati a pensare a certe cose, discorsi sui massimi sistemi, tanto per intenderci, beh.. allora quelli deprimenti siete voi. continuavo a guidare e poi pensieri strani nella testa mi passarono tanto velocemente che non riuscivo a soffermarmi sul PERCHE' realmente stavo pensando a certe cose, e chissà se mi importava davvero poi! "che fine hanno fatto quei ragazzini con cui giocavo quand’ero all’asilo? e quella canadese che ho conosciuto quand’ero a roma, chissà che starà facendo adesso.. e quel ragazzo che conobbi alle visite mediche del concorso? poverino, 18 anni e già aveva un figlio. non ce l’ha fatta a passare, dove starà sbattendo la testa, ora?". in quel momento nello stereo willie nelson faceva la cover di “always on my mind” un gran pezzo di elvis, ed io trovai il mio bel baretto che mi confortò dandomi la mia seconda droga preferita, la dolce 'caffeina'. entrai. “’sera..”, il barista aveva uno sguardo torvo (a causa di un occhio di vetro) e mi rispose con “possiamo anche dire buongiorno.. sono quasi le
5.00.
“ah, già... che, mi fa un caffè macchiato freddo?”. mi guardai in giro e c'erano alcune persone sedute ai tavolini, un paio erano già belle che andate con la loro ricca dreher in mano. parlavano ad alta voce, loro, albanesi o giù di lì. "ma come fanno a stare così già a quest’ora? mah, probabilmente sono brilli da ieri sera..". il barista mi fece a bassa voce “qualche ora fa si sono presi a botte, quei due, ora stanno qui di nuovo a parlare.. secondo me non manca molto prima che si riprendano a schiaffi” “ah..” implacabile, io. "si, ma ‘sto caffè? ah, ecco.. grazie. quanto le devo?" "80 centesimi". il barista con un gesto cercò di richiamare la mia attenzione, come a dire ‘guarda quei due’. io non osai girarmi e li guardai dallo specchio di fronte, quello dei liquori. si misero in piedi, alzando un po’ la voce, e cominciarono a spingersi. "mmm, ma faranno sul serio?" il barista gridò di andare fuori se avevano intenzione di litigare.. e loro, docili docili, andarono fuori, a litigare vicino alla mia auto. "bravo, bella idea, barista". pagai, uscii fuori, e mi infilai così veloce in auto che ero già in moto e la porta del bar non s'era ancora chiusa. viva la paura! brum brum.. sparii dal paesino e dalla vista di tutti, diretto verso palermo con i miei pensieri e i miei onnipresenti dubbi su qualsiasi cosa c'è al mondo, e quando arrivai in città erano le
5.45.
ed era ancora troppo presto per fare una ricarica al cellulare, dovevo aspettare ancora un quarto d'ora. andai verso la via della sciampagneria ed entrai nell'ennesimo bar per fare colazione. solito caffè, cornetto al cioccolato. pagai e mi diressi verso il postamat, a qualche metro di distanza: infilai la scheda, digitai il codice e scelsi ricariche telefoniche, "mmm, 150 euro penso che basteranno". quello era l'ultimo gradino della mia solitudine, lì toccavo il punto più basso. erano le
6.00.
e stavo per chiamare uno di quei numeri erotici. rientrai in base, parcheggiai in un posto isolato (e all'ombra. ormai il sole era già su e cominciva di nuovo il caldo asfissiante) e provai qualche numero, "ce ne sono così tanti che prima o poi qualcosa a culo beccherò. 899 12 12 64. nulla, il numero chiamato è inesistente. ok, proviamo con 899 20 20 32. nemmeno..." dopo tre o quattro tentativi mi riuscì di beccare quello giusto. "ok, è un numero per adulti, lo so. sì, dichiaro di essere maggiorenne", il costo era 200 centesimi al minuto + iva (te lo dicono in centesimi così non capisci che si tratta di pagare 2 euro al minuto). "si ciao, sono paolo. da bari. con chi vorrei parlare? uhm, una ragazza simpatica. no non voglio fare sesso... come dici? sei sorpresa? ah.. va bene, attendo in linea... non fatemi aspettare tanto però.. e lo so che è il vostro gioco.." 30 secondi (o 1 euro se vogliamo) e sentii una voce alquanto suadente. dall'altro capo del telefono c'era mirella, si presentò come "la maestra dei cazzi" e scusatemi la volgarità, ma per dovere di cronaca, io riferisco... "no mirella, guarda, voglio solo fare due chiacchiere. perchè? perchè mi sento solo, terribilmente solo. dimmi di te, cosa fai, quanto ti pagano, hai figli mirella? un marito a casa che ti aspetta? lui lo sa di quello che fai o gli dici che vai in ufficio, di un po' come funziona?" immaginai di parlarle così quando in realtà le avevo detto solo il mio nome.
"da dove chiami, paolo.. hai detto paolo, no?"
"si, paolo. da bari"
"quanti anni hai?"
"24"
"ohh ma sei proprio giovanissimo. sei uno studente o lavori?"
"lavoro. si beh.. diciamo che lavoro in aeronautica.. e non chiedermi se sono un pilota, no, non lo sono.. sai com'è, me lo chiedono tutti.."
"oh ma che bello, un militare! beh che c'entra, mica esistono solo i piloti! comunque scommetto che te ne approfitti anche tu del fascino della divisa.."
"sinceramente no, anche perchè.. boh, ahah, non so perchè"
"sei mai stato in sicilia, paolo?"
cos'era, un'indovina? decisi di mentirle: "uhmm.. si, ma solo per lavoro. ci sono stato un mese, tempo fa"
"io sono di palermo, ci sei stato?"
"si, proprio a palermo"
"ahh... che bello! e dove, dico, in che caserma sei stato, vediamo se la conosco.."
"si chiama boccadifalco"
"vicino calatafimi, no?"
"si brava, proprio lì"
"peccato che ci sei stato solo un mese, palermo è una città da scoprire per bene. ti piacciono le palermitane, paolo?"
"certo, sono bellissime"
"ahahah, è vero, sono tutte belle. anche io lo sono, vuoi sapere come sono fatta?"
"uhmm.. naa, non mi interessa. parlami un po' dimmi di te"
"sei tu che hai chiamato, hai voglia di parlare, fallo su. raccontami di te, avanti.."
"ho una madre, un padre, una sorella. sto in aeronautica, ho 24 anni" oddio, che posso dire ad una sconosciuta per telefono?
"come si chiama tuo padre?"
"vito"
"tito? bel nome!"
"no, non tito, vito"
"con la erre?"
"no no, vito! v di vicenza, i di imola, t di torino.. eh ..si, brava, vito."
4 ore prima avevo imboccato l'autostrada trapani-messina, con la solita utopia, con il solito sogno irrealizzabile che magari anche a me poteva accadere qualcosa di strano e inaspettato, come nei film. si, lo so, sono uno stupido o troppo sognatore ma non smetto di sperare in qualcosa che possa cambiare la mia vita. e se non si tratta di cambiare la vita, perlomeno dare una svolta ad una singola notte. 4 ore più tardi, e parecchi km dopo, mi ritrovavo a fare lo spelling del nome di mio padre ad una sconosciuta che si faceva chiamare "la maestra dei cazzi". certe stronzate non hanno prezzo. e fa anche un caldo boia qui in macchina. e questa notte non finisce mai! a pensarci bene, 'ste stronzate ce l'hanno un prezzo, 2 euro.. anzi, 200 centesimi al minuto. più iva. cristo-di-dio.
lei continuava a parlare, mentre io pensavo alle solite idiozie: "io sono di palermo, ho sposato un romano e ora vivo a brindisi"
"come scusa? scusami stavo pensando ad una cosa.. ah.. quindi è a brindisi che sto chiamando.."
"uhm, non esattamente. fisicamente io sono a brindisi, ma sai le linee telefoniche.."
"capito. c'è un prezzo da pagare anche per sentirsi meno solo, no?"
"dai non essere così sarcastico. scommetto che sei un bellissimo ragazzo, lo sento dalla voce"
"e io scommetto che lo dici a tutti, maniaci e no. no, non sono un bel ragazzo.."
"allora di sicuro sei dolcissimo.."
"mah, forse neanche più di tanto. perchè sono solo, me lo sai dire?"
"come scusa?"
"ti ho chiesto se mi sai dare una motivazione alla mia solitudine. perchè sono solo, o perchè mi sento così solo?"
"molte persone dicono così, poi basta guardarsi intorno e si hanno un sacco di amici che.."
"che..? cosa? io non ho un sacco di amici. io non ne ho nemmeno pochi. ho solo qualche brava persona - chissà fino a che punto è brava, poi.. - che conosco e non è abbastanza, di sicuro. non a 24 anni. guarda.." e qui, la voce mi si spezza un po'..
"dai dai su, sta tranquillo, parla liberamente"
"guarda che a 24 anni anche il più idiota dei ragazzi ha una comitiva, delle amiche, degli amici, qualcuno che lo chiama al cellulare, qualcun'altro che lo invita a prendere una pizza.. perchè io devo essere diverso dagli altri? perchè devo sempre essere diverso?"
"questa tua diversità non significa di certo essere peggio.."
"LO SO! io LO SO! è proprio per questo che non riesco a spiegarmi la ragione, io sono meglio di tante altre persone.. io sono più.. sono meglio di tanti stupidi che hanno una vita più felice della mia!"
"ma cos'è che ti rende triste..? hai un bel lavoro.. una ragazza ce l'hai?"
"oh no.. grazie a dio. non ne ho e non ne voglio. sto bene così"
"e allora che ti manca?"
silenzio.
"non ti manca niente, vero?"
"suppongo di no"
"secondo me sei solo un..."
click.
chiusi la comunicazione. secondo lei ero solo un.. (coglione - stupido - idiota - insoddisfatto- deficiente..) cosa? cos'ero? magari per la prima volta nella mia vita qualcuno stava riuscendo a darmi una definizione, forse, chissà, mi avrebbe aiutato a capire. si, magari.. ma non credo che sarebbe andata così. avrei continuato a non capirmi, definizione o no. mi dispiaceva aver chiuso la comunicazione, ma era stato un gesto dettato dall'istinto. controllai il credito residuo, avevo speso 125 euro. 125 euro per parlare con una sconosciuta, dovevo esser matto sul serio.
e fu così, imprecando contro me stesso della mia stupidaggine, che arrivarono le
7.00.
del mattino: aprii il portaoggetti nel cruscotto, tirai fuori il mio fido moleskine e presi la penna blu. dovevo scrivere la lettera a daniela. scrissi per quasi un'ora, un totale di 20 piccole paginette, ma mancava quel fuoco che mi era necessario, che nella notte in bianco non ero riuscito a trovare. avevo deciso, in precedenza, che mi sarei messo a scrivere la lettera, in qualsiasi momento avessi voluto, in qualsiasi momento avessi trovato "l'ispirazione" ma era chiaro che a quell'ora del mattino stavo scrivendo solo per perdere un altro po' del mio tempo. scrivevo solo perchè non potevo fare altrimenti. come scoprii qualche giorno più tardi, quella lettera non avrebbe avuto nessun effetto. a pensarci bene, ora, non mi sorprende affatto. daniela non sapeva dell'autore della lettera, non sapeva nulla, fosse un bene o un male non lo so, ma di certo avevo modo di farmi conoscere attraverso quello che avrei prodotto su carta. poteva andarmi bene, poteva essere fantastica, potevo colpirla.. e si rivelò solo il modo più fallimentare. erano le
8.00.
quando tornai in camera. il sole cominciava di nuovo a picchiare forte e i miei compagni di stanza si stavano svegliando proprio in quel momento. mi videro vestito, chiesero se mi ero alzato apposta prima di loro per fare colazione e mentii, dicendo di sì. mi spogliai, mi buttai sul letto e cominciai a fissare la moltitudine di crepe che pian pianino si facevano strada sulla parete che mi stava di fronte. cercai di vederci degli angeli, o un leone, o magari una capra, e non riuscii nemmeno in quello. "dio che caldo", pensai, chiudendo gli occhi; poi mi tornò in mente tutto quello che avevo visto nelle ultime sei ore: il maniaco, la barista dell'autogrill, l'autostrada dritta e la statale, tutta quella miriade di paesini che avevo attraversato, la luna nel mare, il barista con l'occhio di vetro e gli albanesi che litigavano.. il cornetto nel centro di palermo e la telefonata con mirella, "la maestra". cosa avevo fatto? qualcosa di cui vergognarmi? qualcosa di cui esser fiero? non ne ero orgoglioso nè tantomeno intristito. mi sentivo svuotato eppure non avevo dato niente a nessuno. ma ormai era già mattina e la notte, quella notte lunghissima, finalmente era passata.

martedì 24 luglio 2007

blocco

il blocco dello scrittore senza essere uno scrittore è una situazione paradossale ma, per quanto strano, più comune di quanto si possa pensare. si perchè là fuori di gente come me, che crede di essere uno scrittore (o di saper scrivere, peggio ancora), ce n’è tanta. e se credi di esserlo, allora probabilmente lo sei. però dato che, in buona sostanza, sei solo “un’altro che vuol provarci” non hai nè esperienza nè capacità. ti metti di fronte ad un foglio, di carta o virtuale – non ha importanza - e rimani lì a fissarlo: il fantomatico blocco dello scrittore. provi ad ascoltare i pink floyd o nick cave, provi a leggere rimbaud e dylan: vi prego maestri, datemi un barlume di ispirazione, datemi il dono della parola. non vi chiedo originalità, non mi serve. tutto quanto di buono è stato già fatto, detto o scritto: io sono solo uno che si diverte a rielaborare. ci vogliamo provare? mi volete aiutare? io voglio solo scuotere il mondo...

martedì 15 maggio 2007

lettera dalla strada

per me, Arte è l’equivalente di una parolaccia
usata da un mucchio di gente
che ha paura di guardarsi in faccia;
io invece mi guardo
temo di far schifo
e mi va bene così. perché faccio il mio modesto gioco e lascio stare le cose
più grandi di me.
(charles bukowski)

dedicata a tutte le persone che mi hanno spinto su questa strada e al Maestro F.T.


highway 61

dio disse ad abramo: “uccidimi un figlio”.
abe dice: “ma mi stai prendendo in giro?”.
dio dice: “no”. abe dice: “cosa”.
dio dice: “abe, fa’ un po’ come ti pare, ma
la prossima volta che mi vedi ti consiglio di sparire”.
e allora abe dice: “e dov’è che dovrei ammazzarlo?”
dio dice: “là sull’autostrada 61”.
a georgia sam colava sangue dal naso
e all’assistenza sociale non gli davano i vestiti.
chiese al povero howard: “e adesso dove vado”
howard disse: “io conosco solo un posto”,
sam disse: “dimmelo, presto, che devo scappare”.
il vecchio howard puntò la canna del fucile
e disse: “per di qua sull’autostrada 61”.
mack ‘il dito’ disse a louie ‘il re’:
“ho quaranta lacci da scarpe rossi bianchi e blu
e mille telefoni che non suonano,
non sai dove posso sbarazzarmi di questa roba?”
e louie ‘il re’ disse: “fammi pensare un momento figliolo”,
e poi disse: “sì, non credo sia un problema,
porta tutto là, sull’autostrada 61”.
la quinta figlia alla dodicesima notte
disse al primo padre che così non andava.
“la mia pelle”, diceva, “è troppo bianca”.
lui disse: “vieni qui e mettiti al chiaro”, dice: “mmm, hai ragione,
aspetta che dico alla seconda madre com’è andata”,
ma la seconda madre stava col settimo figlio,
tutti e due sull’autostrada 61.
il giocatore di mestiere, parecchio annoiato,
voleva metter su la prossima guerra mondiale.
trovò un impresario che rimase sbalordito.
“non mi sono mai occupato di cose del genere”, gli disse,
“ma si, non credo sia un problema.
metteremo un po’ di gradinate al sole
e faremo la guerra là, sull’autostrada 61”.
(dylan)


1.
è cominciato tutto per errore. ma iniziamo dalla sera prima..
la sera prima della partenza, mio padre mi ha salutato così: mi ha stretto la mano, un po’ riluttante nel darmi un bacio, e mi ha detto queste precise parole: “dato che sei un ragazzo sbadato, poco attento... e mi riferisco al perdere le chiavi o perdere il portafogli, beh, fammi la cortesia di stare attento.. buonanotte.” è un bell’arrivederci, non trovate? molto rassicurante. poco male, io e mio padre non siamo mai andati d’accordo. difficile legare con una persona la cui frase preferita è: “hai sbagliato.” certe volte non è così ‘definitivo’ e si limita ad un biascicato ‘stai sbagliando’, come a farmi capire che ho ancora buoni margini di peggioramento. mia madre invece mi ha salutato piangendo. molto rassicurante. ho dovuto staccarla da me altrimenti rischiavo di versare qualche lacrima anche io. non ce la faccio, è più forte di me, se vedo qualcuno piangere non mi trattengo! vabbè, dato che sono figlio dei miei genitori, ho preso da loro qualche pregio e una buona dose di difetti. da mio padre la presunzione e da mia madre il cuore tenero. praticamente un presuntuoso dalla lacrima facile: una contraddizione in termini. critico la gente e poi piango con loro. e cosa fa un presuntuoso come me, a parte annoiarvi con questa lettera? parte per un viaggio in auto, solo, in scozia. è un viaggio a tappe. un serie di coincidenze fortunate, direi. lunghe ferie dal lavoro, una visita a ferrara da tempo programmata, bob dylan che viene in italia, e poi c’è la voglia di andare via, che non manca mai. ora direte voi, perchè proprio la scozia.. vedete, c’è una ragazza che lavora in un’agenzia viaggi, vicino casa. lei va matta per la spagna e io vado matto per lei. così tempo fa, per fare il figo, le dissi che ci sarei andato. lei c’è stata 3 volte. speravo in un ‘non c’è tre 3 senza 4’. speravo, appunto. e poi c’è una ragazza rumena che dovevo andare a trovare, a iasi, vicino alla macedonia, ma la cosa in seguito è fallita miseramente. si, ma la scozia che c’entra? volete saperlo? beh, allora sentite questa: tempo fa andai a comprare dei calzini. era dicembre, c’erano decorazioni natalizie dappertutto. faccio un giro in paese e mi fermo a guardare la vetrina di un negozio d’intimo & company. quello che mi colpisce molto (a parte la commessa) è la statuina di gesù bambino, in vetrina. che c’è di strano? beh, se la vedevi da una certa angolazione si notava chiaramente che era stato manualmente ‘appiattito’ nelle parti basse. avevano cancellato il pisellino e le palline a gesù bambino! avevo voglia di entrare in quel negozio di gente senza pietà. comprai i calzini e li pagai una cifra a dir poco esorbitante: si, erano davvero senza pietà. beh tornai a casa e mentre guardavo lo scontrino chiedendomi dove avessi sbagliato, mia madre mi fa notare che avevo comprato calzini in filo di scozia, per questo li avevo pagati così tanto. quando sentii la parola ‘scozia’ mi si aprirono le porticine male oliate del mio cervello. avevo davanti a me la scozia, o perlomeno l’immagine che ne può avere uno che non c’è mai stato. ora non avevo solo voglia di partire, ma anche una destinazione. così, come ho detto, è cominciato tutto per errore. se non fossi entrato in quel negozio di gente senza scrupoli probabilmente avrei comprato calzini a buon mercato e addio scozia. comunque vi basti sapere che se un censore dalla dubbia moralità non avesse cancellato le palline & il pisellino alla statuina di gesù bambino, probabilmente non avreste questa lettera fra le mani, ora. allora.. yuhuh, evviva!
2.
parto. è giovedì 26 aprile, data del mio arruolamento in aeronautica, 3 anni orsono. e l’aeronautica, qualche giorno fa, mi ha dato la comunicazione tanto attesa: ‘sì, sei entrato a far parte dell’amministrazione difesa.’ in pratica, ho superato il corso. grazie mamma aeronautica; mamma aeronautica, che mi ha dato soldi per il viaggio e tempo libero per organizzarlo. sono le 9 del mattino quando mi metto in auto e il contachilometri dell’auto segna 5521 km. penso che quando sarò tornato saranno più del doppio e questo già basta per rendermi felice. prendo la statale fino a vasto, giusto per perdere un po’ di tempo, e poi mi immetto in autostrada. nel frattempo faccio conti nella testa: il mio budget è 115 euro al giorno. forse saranno pochi, forse mi basteranno, lo scopriremo strada facendo. sicuramente non potrò dormire sempre in hotel e mi va bene, qualche notte in macchina la passo volentieri. il viaggio in autostrada procede tranquillo e arrivo a ferrara alle 16.30 in punto. esco a fare un giro con un amico e vado a trovare luisa, si fanno 2 chiacchiere poi ritorno a fare un giro in centro. la sera la passiamo con andrea e eleonora al solito ‘hurly burly’, locale che mi ha visto bere & vomitare & cantare per buona parte di aprile & maggio dell’anno scorso. solite due o tre fotografie di rito e poi nanna. la giornata è stata tranquilla, anche troppo. il viaggio, in realtà, non è ancora cominciato; davanti ho ancora tanta strada.
3.
la mattina dopo, dopo aver salutato altri ragazzi, aver fatto colazione in centro e aver promesso cartoline a tutti (ovviamente promesse non mantenute), mi rimetto in autostrada, destinazione assago, dove si terrà il concerto di dylan, la sera stessa. è una giornata terribilmente afosa, trovo in fretta un albergo e la signora alla reception dice che ha sentito molte volte il mio cognome. rimane interdetta quando le rispondo che non sono mai stato a milano, nè ho parenti in zona. e il mio cognome per giunta è meridionale, ma soffro di ubiquità e probabilmente potrei esser stato lì senza accorgermene. mi sembra una risposta simpatica ma lei non afferra o afferra e non ride e io la invio a cagare, nella mia testa. trascino con difficoltà le mie valigie fino al terzo piano, perchè non voglio prendere l’ascensore, che ci vuole fantasia a definirlo solo angusto. la camera, dicevo, è al terzo piano, sotto un tetto di ferro battuto che si riscalda a fino a raggiungere temperature che nessuno strumento umano è capace di quantificare. fossi stato in compagnia di un masai dell’africa centrale, anche lui si sarebbe lamentato del caldo eccessivo. ma tant’è, per dylan questo ed altro. ho bisogno di una doccia e quando mi asciugo non riesco più a distinguere l’acqua dal sudore. chiamo anna. anna è una signora di milano, è una dei fondatori di ‘maggie’s farm’, sito italiano dedicato a dylan. l’ho contattata qualche giorno fa tramite mail per sapere se potessi unirmi al loro gruppo, dato che sono un nuovo arrivato del sito. lei mi dice di si e mi dà il numero di cellulare: ‘chiamami quando sei a milano, così ci troviamo da qualche parte’ mi dice. allora la chiamo. fissiamo l’appuntamento: alle 15.30 in fila davanti ai cancelli. arrivo puntuale e lei è già lì, insieme al gruppo. mi presento a tutti e rispondo alle classiche domande di rito. poi si fanno indovinelli per ingannare il tempo. io li odio ‘sti giochi di logica, ma va bene TUTTO pur di far passare il tempo. il concerto è previsto per le 21.30 e mancano ancora 6 ore. va bene, fammi un altro indovinello, carlo. si, ci penserò. dammi la mail quando ne vengo a capo ti mando la soluzione. il tempo, lentamente, passa. anna distribuisce una piccola cartina di milano, c’è un percorso segnato, che finisce in via della chiesa rossa. è lì che ci troveremo a mangiare, una volta finito lo spettacolo. bene, penso, non ho avuto tempo di pranzare e l’attesa di 6 ore sotto il sole comincia a farsi pesante, non vedo l’ora di mangiare. ma qualcuno aveva in mente altri piani, per me. non ricordo molto del pomeriggio, a parte quegli odiosi indovinelli, e anche del concerto ho un ricordo molto sognante. quando è arrivato dylan, le mie gambe hanno tremato per qualche secondo. non capita tutti i giorni di avere a 4-5 metri da te uno dei tuoi pochi veri miti. perlomeno l’unico ancora in vita. rapito per tutta la durata del concerto, non riesco a seguire nessuno dei discorsi degli altri vicino a me, non stacco gli occhi da lui, nemmeno per un attimo. e il tempo vola via troppo presto. l’ultima canzone che canta è ‘like a rolling stone’ e sorride mentre il pubblico canta il ritornello a squarciagola. per me il ritornello ha un significato differente e sentirlo cantare prima del mio viaggio mi mette i brividi. ok, il concerto è finito, tutti in auto, ci avviamo verso milano. io carico un tipo di 45 anni di sassari e un ragazzo 18enne di reggio calabria. loro parlano di quant’è bella quella versione di non-ricordo-nemmeno e di come differisse in 2 punti dall’altra, suonata 2 anni, 4 mesi e 3 giorni prima a oslo. veri intenditori, collezionisti: senza cuore, penso, siete fanatici e basta. ci dirigiamo verso milano e cominciamo a chiedere informazioni, dato che la cartina non riusciamo a capirla. via della chiesa rossa evidentemente non dove essere così rinomata. la gente mi consiglia di provare di qua, forse di là e poi magari di chiedere ancora. ci sono voluti 45 minuti, per perderci ancora di più. poi il sassarese ha un’illuminazione: ‘ho la cartina di milano’ dice. vorrei dargliela sulla testa e dirgli che poteva aspettare un altro po’ a tirarla fuori, ma i miei genitori non hanno cresciuto figli maleducati e mi limito a dirgli che è davvero un grande (coglione) e a darmi le giuste indicazioni. mi dice dove girare ma c’è qualcosa che non quadra. ci allontaniamo sempre più dalla zona dove presumo sia via della chiesa rossa. gli chiedo se è sicuro di dove ci sta portando e lui mi dice di star tranquillo. nel frattempo chiedo aiuto anche alla gente, quella poca raccomandabile che si trova nella periferia di milano, a mezzanotte passata. sembrano tutti spaesati. mi viene un dubbio nella mente: ‘non è che il sassarese mi sta portando da qualche parte di preciso? magari dove vuole lui?’. non faccio in tempo a concretizzare il pensiero in domanda che mi lui mi fa: ‘senti si sta facendo tardi, ormai saranno già a mangiare da tempo e poi io sono vicino a casa di mia cugina, passo la notte da lei..’. non trovo le parole giuste per mandarlo a cagare quando il calabrese aggiunge: ‘dai lascia anche me, troverò un tram che mi porterà in stazione..’, ed escono dall’auto. in pratica mi hanno letteralmente boicottato. due minuti fa ero in cerca della chiesa rossa e ora mi ritrovo solo, in auto, nel centro di milano, città a me praticamente sconosciuta. non perderti d’animo, paolo, mi faccio. chiamo anna e le racconto il tutto. mi confessa che in segreto pensava che i due fossero degli stronzi. grazie, anna, la prossima volta certe cose non tenerle segrete, magari dillo. ormai è tardi e preferisco ritornare al mio albergo a rozzano, sempre ammesso che riesca a trovarlo in tempo utile per dormire almeno qualche ora: voglio solo dormire, almeno per non sentire i morsi della fame. provo a districarmi per le vie del centro, ignorando semafori, segnali di divieto e quelli di precedenza. avete mai visto quei servizi su real tv? ‘è un tranquillo pomeriggio a springfield, colorado, quando per le strade un ladro in fuga comincia a seminare il terrore... all’improvviso, la tragedia..” beh, per come sto guidando potrei essere ottimo materiale per guido bagatta e se mi ferma la polizia finiranno per darmi l’ergastolo perchè un verbale sarebbe troppo poco. ma dio o chi per lui è dalla mia parte ed anche un motociclista tatuato si offre di farmi strada per un po’, dato che il nostro percorso quasi coincide. mentre seguo l’harley non posso fare a meno di pensare all’imprevedibilità di certe situazioni. sono stato gabbato da due sconosciuti e ora mi trovo a seguire ‘sto easy rider per l’hinterland milanese. ho molta fame, provo un po’ di rabbia, ma corro tutto sommato felice per la mia strada.
4.
mi sveglio nel forno crematorio. sono le 8 del mattino, ho sentito la sveglia al cellulare e già questo basta per farmi capire che può essere una bella giornata. in fin dei conti il mio vero viaggio comincia adesso. ho solo bisogno di fare colazione e ritirare soldi alla posta. 500 euro basteranno per andare in costa azzurra e 2 giorni a parigi? vedrò di farmeli bastare. esco dall’hotel, carico le valigie in auto ed entro nel primo bar. faccio colazione e mi sveglio per davvero; poi, chiedo indicazioni e cerco la posta. attraverso una stradina con un signore molto attempato, lo supero in velocità e sento un tonfo alle mie spalle. è caduto per terra. le gambe hanno ceduto, letteralmente. intanto un po’ di gente si avvicina, chiamiamo il 118 ma il 90enne non se la passa bene, non riesce ad alzarsi e forse ha battuto la testa. mentre qualcuno gli parla per farlo rimanere cosciente vedo il nonnetto ansimare con difficoltà e guardare fisso nei miei occhi, forse sarà suggestione, ma non riesco a sostenere uno sguardo così implorante. sta davvero male. mi allontano e vado alla posta, ritiro i soldi e mentre ritorno all’auto vedo l’ambulanza e il vecchietto in barella. buona fortuna, anche se le tue braccia sembrano quasi penzolare e hanno davvero poco di vivo. buona fortuna, nonno. riparto: autostrada, direzione genova, code, tunnel, tunnel e ancora tunnel, si varca il confine. sono in francia. è il 28 aprile, compleanno di mio padre, santa valeria. mi sto dirigendo verso antibes, tra nizza e cannes, nella disperata ricerca di un preciso hotel, il ‘castel arabel’, hotel in cui sono stato con la scuola, esattamente il 28 aprile di 9 anni prima. sono un sentimentale e mi va bene così. e poi ho un conto da regolare. voglio guardare quel posto con occhi felici, ammesso che riesca ad arrivarci. arrivo ad antibes, dopo innumerevoli pedaggi a favore della società francese autostrade. appena 50 km dal confine e avrò pagato qualcosa come 8-9 euro. chiedo indicazioni, nessuno sembra conoscere questo hotel. è già un’ora che giro come uno scemo, ormai ho incontrato certa gente per due volte e una mia stupida regola stabilita prima della partenza mi dice che quando vedo gente sconosciuta per più di due volte è arrivato il momento buono per andare via dalla città dove sono. ma non ora: ho le mie tappe e devo rispettarle, altrimenti non potrei più guardarmi in faccia. e poi sei appena all’inizio, non arrenderti, paolo. chiedo ad un uomo, lui mi dice che potrebbe aiutarmi. chiama al cellulare un numero e si fa dare l’indirizzo e come arrivarci. gli chiedo di venire in auto con me, farmi vedere la strada e poi riportarlo a casa e lui accetta. dio sia lodato. si chiama antonio, è spagnolo ma vive da 10 anni ad antibes. mi mostra il boulevard raymond poincaré, che sarebbe il centro di juan-les-pins, paesino attaccato ad antibes. ed è da li che si raggiunge il castel arabel, che è in cima ad una collina. lo riaccompagno a casa e ritorno in albergo. c’è il monsieur blanquet che mi riceve, lui parla un brutto inglese e io un brutto francese, ma riusciamo a capirci e il prezzo da pagare è 34 euro a notte, secondo piano, stanza 19. quante notti? grazie, solo una notte, sarà più che sufficiente per ricordare e dimenticare i brutti ricordi. la notte combina e acconcia tante cose. gli spiego che sono stato lì esattamente 9 anni prima e che sono qui perchè ho un bel ricordo del posto e della comodità delle camere. capisce che sto mentendo perchè le camere non hanno nulla di ospitale; saliamo per le scale e mi chiede se ricordo la stanza dove alloggiavo ma gli rispondo di no, è passato troppo tempo per quello. mentre mi precede mi fermo un secondo e guardo in direzione della numero 10, primo piano. certo che mi ricordo la stanza dove alloggiavo, e chi la dimentica più? arriviamo. fa più schifo di quanto ricordi ma sono felice abbastanza per ringraziarlo e darci l’arrivederci al mattino successivo. guardo il bagno. non hanno l’asciugamano e il lavandino è così basso che persino pisolo avrebbe problemi di schiena a chinarsi. solito rituale di valigie tra auto e camera e scopro di aver dimenticato bagnoschiuma e shampoo in albergo a milano. gesù, e ora? sono le 20 e l’unico supermercato che ho incontrato stava chiudendo, mezz’ora fa. busso alla camera di fronte in cerca di bagnoschiuma, indossando la mia migliore faccia di bronzo. mi apre una tale christine, ungherese, bella e disponibile ad aiutarmi. mi va a prendere del sapone e mi dice sorridendo che è un regalo, per l’arrivo ad antibes. mia cara, i regali finiscono qui? uffa.. lavarmi i capelli col sapone non è mai stato il sogno della mia vita ma a caval donato non si guarda in bocca. mi lavo, mi vesto, esco. giro sul mare, sigarette a 6 euro e caffe a 2,5 ma nulla scalfisce la mia serenità, nemmeno ‘sti prezzi del cazzo. ritorno in albergo e mi fermo in piscina, mi riposo su una sedia marrone sporco che in origine doveva esser bianca e fumo una grande sigaretta guardandomi intorno e vedendo i fantasmi di 9 anni prima. i miei compagni di scuola sono tutti lì. molto di ciò che sono diventato dopo quella gita lo devo a quel posto e ora che sento di essere cambiato e più felice, sono contento di rivederlo con occhi diversi. fanculo, castel arabel, non mi fai più paura. e i miei compagni di scuola sono sempre lì, ridono & scherzano & io ai bordi della piscina che li guardo sorridendo... c’è pamela e giuseppe e dimitri e tutti gli altri e sono felici di esser lì ma non sono cresciuti, no, sono sempre così come allora. e mentre mi perdo nella malinconia del tempo passato c’è qualcuno che mi chiama: ‘ehi, italiano! italiano!’ ‘dite a me?’ ‘vuoi venire sopra con noi?’ ‘avete da bere?’ ‘si.. tu hai sigarette?’ ‘sì..’ ‘stanza numero 14!’ oh perbacco, sono stato invitato da sconosciuti! che bello. busso. sono 4 ragazze e 1 ragazzo. mi offrono del vino e io offro le mie marlboro, i patti sono rispettati. si parla del più e del meno e scopro che il mio inglese è zero a confronto con il loro, che pure hanno 19 anni. una americana di new york, una cinese che vive da 15 anni ad amsterdam, un ragazzo tedesco, una ragazza tedesca, una ungherese; poi si beve e si parla si parla e si beve, e si fuma. ormai non bevo da un sacco di tempo e 6 o 7 bicchieri di vino sono abbastanza per farmi gli occhi lucidi e le guance rosse. mi chiedono come mai son lì. oh bella! che domande! son qui perchè.. beh perchè.. sapete, è una storia triste, sicuri di volerla sentire? beh allora statemi a sentire che ve ne racconto una davvero triste: ero fidanzato, lei era l’amore-della-mia-vita-blah-blah e non c’era niente che non andava in lei, sapeva rubare l’oscurità alla notte e tingere di nero il giorno, ci siamo conosciuti qui, esattamente oggi, 9 anni fa, ma il 3 gennaio di quest’anno è morta, poverina, in un incidente stradale. e io sono qui per ricordarla. poi vado a parigi e in scozia, perchè era il suo sogno andarci e il destino crudele non ha voluto. così sono venuto qui per riprenderla e portarla con me in viaggio. poi ripasserò di qui al ritorno e la lascerò riposare. così avrò terminato la mia missione e reso giustizia alla mia bella. beh, è una bella bugia, ma perchè l’ho raccontata? mi piacerebbe poter dire che sono più che brillo, ma forse la verità è che mi piace recitare. recitare, scrivere, raccontare, sapete.. tutte quelle cose in cui si deve fingere, ma in un certo senso nessuno ti può accusare di star mentendo. ma la verità più grande è che probabilmente sono uno pezzo di merda ma i miei stronzi non puzzano come quelli degli altri. una ragazza mi mette una mano sulla spalla, mi dicono che sono dolce e romantico: oh ragazze, non lo sapete che io vengo dalla schiuma del mare? si aggiungono altre ragazze ma poi si fa davvero tardi, sono quasi le tre, loro vogliono andare a dormire e io non mi reggo in piedi, tra autostrada, informazioni e vino è stata una lunga giornata e domani dovrò andare verso parigi. ci diamo la buonanotte, mi fanno gli auguri per il viaggio e rientro in camera. passa qualche minuto e sento ridere fuori; c’è qualcuno che bisbiglia, apro e c’è cecilie, tedesca, un po’ rossa in volto, con un’amica. l’amica scappa via e rimango in pigiama di fronte a lei. le domando se c’è qualcosa che non va e lei mi chiede come mai non mi trattengo qualche altro giorno. se è una proposta, è velata ma chiara. le dico non-ricordo-bene-cosa e lei mi da di nuovo la buonanotte, con un bacio sulla guancia tendente al labbro superiore, angolo sx. forse lei non è di mio gradimento, forse ho voglia solo di fuggire, ma ci sono dei momenti in cui si deve prendere una decisione. ricambio il bacio sulla guancia, le stringo la mano e scelgo di proseguire sulla mia strada.
5.
mi sveglio con un mal di testa allucinante, colpa del vino. occhi gonfi, capelli ridicoli, mi sistemo come posso ed esco a juan-les-pins a fare colazione. ritorno in albergo e ritrovo monsieur blanquet, consegno chiavi e riprendo la cauzione versata. è il momento di dire arrivederci; in piscina ci sono alcuni ragazzi conosciuti ieri sera e mi augurano buon viaggio. grazie. prendo l’autoroute 8, direzione cannes, aix-en-provence, lyon, dijon, paris. è un giorno spensierato, non ho una meta ben precisa. so che devo arrivare a parigi, ma non in fretta, quindi so che devo solo guidare finchè me la sento, godermi il panorama, ascoltare la musica e fumare le mie sigarette. ho guidato dalle 11 del mattino fino alle 22 di sera, percorrendo circa 750 km. le autostrade francesi costano un sacco. da antibes a parigi circa 75 euro. mi fermo a circa 100 km da parigi, ho passato da poco auxerre. area di servizio, stendo il sedile dell’auto e mi accingo a passare la prima notte in auto. ci sono dei tipi in tunica e barba bianca parcheggiati di fronte a me. sembrano tranquilli, scherzano e parlano ad alta voce poi cominciano a lanciarsi bottiglie tra di loro. vabbè son di plastica, ma poi si schianta anche una di vetro e lì capisco che non è quella l’area di servizio adatta a me e mi sposto in un’altra, qualche km più avanti. metto la sveglia alle 8.30. forse è troppo presto, chi vuoi che ci sia in autostrada a quell’ora? devo solo fare altri 100 km di strada!
6.
alle 8.30 di mattina del giorno dopo, mentre suona la mia sveglia che rifiuto di sentire, mi sveglia la dogana francese, bussando sul finestrino. a loro non so dire di no. ‘ah, bonjour, comment ça va? je suis aussi un militaire...’ e cerco di arruffianarmeli con qualche cazzeggio ameno. mi controllano l’auto, persino le mie sigarette, poi si insospettiscono quando vedono una valigia messo sotto le altre, praticamente schiacciata. io dico che sono solo robe sporche e non conviene aprirla. e loro aprono proprio quella. mettono le mani fra le mie mutande e i miei calzini andati a male, oh, contenti loro. mi chiedono cosa faccio lì, dove vado e se porto cifre superiori a 7000 euro in contanti. rispondo: ‘magari!’ e si ride di gusto, tutt’e tre, alle 8.30 del mattino, sull’autostrada che porta a parigi. poi mi salutano e mi augurano buon viaggio e passano a controllare un camion parcheggiato dietro di me. mi lavo denti e faccia nel bagno pubblico, tenuto incredibilmente pulito, e riparto in direzione parigi. la mia idea è quella di fermarmi in un paesino adiacente all’area metropolitana della capitale e raggiungerla poi in treno. va bene l’avventura, ma guidare a parigi forse è davvero troppo. mi fermo a corbeil-essonnes, paesino carino ma che non fa per me. passo oltre e raggiungo évry. giro in tondo come un scemo per 3 o 4 volte, intorno al paese, prima di trovare un albergo fatiscente a courcouronnes, ‘villaggio’ attaccato ad évry. mi chiedono 29 euro a notte e prenoto anche per il giorno dopo. non riesco a credere che ho trovato un albergo così vicino a parigi e ad un prezzo così basso. forse questo viaggio è benedetto da qualcuno. ovviamente le stanze non hanno bagno in camera e d’altra parte la doccia non ha nemmeno molta acqua calda. ora capisco perchè mi cercano così poco. e a ben vedere, 29 euro sono anche troppi. chissenefrega, sei a parigi, paolo. 2 giorni, cosa prevede la tabella di marcia? louvre, tour eiffel, montmarte & cimitero. sono le 13. mi vesto cercando un travestimento e decido che per quei due giorni va bene il travestimento ‘charles aznavour’. completino finto-elegante-finto-stracciato e capello adatto. mi manca solo una cosa. le gitanes blue. quelle col filtro bianco. tutti i francesi le fumavano, nei film anni ’60 tipo ‘tirate sul pianista’ o ‘fino all’ultimo respiro’, novelle vague style. ed io non posso esimermi. esco in auto e guardando la cartina mi dirigo a colpo sicuro verso versailles. lì ci sarà sicuramente qualche treno rapido che mi porterà dove voglio. giro un po’ versailles in cerca di parcheggio, mi tolgo anche il dubbio sfizio di guidare proprio davanti alla reggia (immerso in un traffico terribile) e poi comincio ad averne piene le tasche. basta, ora si parcheggia! forse deve esser festa a versailles, forse è sempre così, ma i parcheggi sono tutti al completo. ce n’è solo uno che segnala 10 posti liberi, ‘deve essere mio!’, penso. tenendo conto che sono al semaforo con altre 50 auto che probabilmente cercano un posto come me e tenendo conto che non sono mai stato qui, devo usare tutta la mia ‘italianità’ per arrivare primo. sfodero le unghie e mi faccio largo tra il traffico, violando semafori, incroci, fioretti, promesse ed anche alcuni dei 10 comandamenti. raggiungo il parcheggio agognato. beh non ci crederete ma è intitolato a raymond poincaré, quello del boulevard in costa azzurra. ehi raymond, due giorni fa non sapevo nemmeno chi fossi e ad oggi mi hai salvato la vita per due volte. ti voglio quasi bene. chiedo informazioni. il parcheggio raymond poincaré è a 50 metri dalla stazione, non riesco a credere alla mia fortuna. mi studio bene la piantina. sono le 16.30 e prendo il primo treno per la capitale. mi fermo nei pressi del louvre. mi rendo conto che ormai la mia non è più una visita, è una fuga. ma mi va bene così, anzi, mi va benissimo! ho 3 ore di tempo (tempo per cui ho pagato al parcheggio) per andare al louvre a alla torre e ritornare indietro. la cosa comincia a piacermi. allora corro, corro per le strade di parigi. e mi viene in mente antoine doinel che ruba il latte e corre di notte, poco meno che adolescente. antoine, ora corro come te: certi brividi non si possono comprare. non ho rubato niente ma mi sento allo stesso modo. uhuh, è più bella l’idea della vita e il suo riflesso, che la vita stessa. comunque arrivo al louvre, madido. compro il biglietto e mi faccio un giretto, snobbo alla grande la gioconda ‘tanto non riuscirei nemmeno a vederla’, penso. il mio tempo al louvre è finito e corro in direzione della torre. treno, metropolitana, ponti e sottopassaggi. corro tra le strade di parigi e non riesco a crederci. mi fermo in un bar per un caffè, ad un paio di km dalla mia ultima meta del giorno. c’è una bella donna che siede al bancone e sta in silenzio, sembra triste. il barista mi chiede se so parlare inglese, perchè la donna è americana e lì nessuno sa nulla a parte il francese e che parigi è bella, specie di notte. mi chiede di parlarle un po’. va bene, ci sto. si chiama virginie e ha 52 anni, ma non li dimostra. è di washington dc, è sposata ma il marito chissà dov’è. è nata in colorado ma vive nell’east coast da sempre e mi chiede cosa ci faccio lì. beh, che posso fare? ormai comincio a credere alla mia stessa bugia e la rivendo, stavolta charles-aznavour-style. sguardo contrito, occhio pentito, e alla fine della storia lei ha gli occhi lucidi e dice che sono un romantico. no, virginie, a dir la verità sono un pezzo di merda, ma lo sai? alcuni dicono che i miei stronzi non puzzano come gli altri. più precisamente, lo dico io. mi chiede se è in paradiso ora e le rispondo che siede accanto a dio. lei mi dice che c’è stata, in paradiso. ha avuto un brutto incidente e ha visto gente chiamarla, tutto bianco, nuvole bianche di zucchero filato & robe simili. le credo, che posso farci? forse ha capito che la mia è una bugia e mi ha ripagato con la stessa moneta. ma ora è tempo di andare, triste virginie, la torre mi aspetta. corro tra gli alberi e la gente e arrivo lì. mi siedo sulla stessa panchina dove ero seduto quel martedì 4 maggio 1999 e mi guardo intorno. ci sono sempre quei maledetti turisti. fumo una grande sigaretta e mi guardo ancora intorno. i turisti svaniscono; come due giorni prima ad antibes rivedo tutti, e sono contento di vedere anche quel posto con occhi diversi. ‘mio dio, che ci faccio ancora qui?’, mi chiedo. è tardi e il tempo del parcheggio sta scadendo. faccio la strada inversa: alberi, gente, ponti, sottopassaggi, metrò e treno. sono le 20 passate quando arrivo all’auto, grazie a dio nessuna multa. esco da versailles con qualche difficoltà e torno a courcouronnes, 30 km a sud-est. siete mai stati a parigi? andate a visitare courcouronnes: non potete rinunciare a questa emozione. courcouronnes è fatta così: nessuno negozio, 23 rotonde, 80 case, 90 semafori, parecchi alberi e nessuno per strada alle 21 di sera. in francia li chiamano centri di agglomerazione. sono paesini nati dal nulla, poco tempo fa, per i semi-ricchi che non vogliono andare a vivere in città e cercano un’atmosfera tranquilla. i prezzi immagino siano abbastanza alti da tagliar fuori buona parte dei tanti extracomunitari che vivono in francia, ma non così alti da tagliarli fuori del tutto. solo gli extracomunitari ricchi possono permettersi certe case e probabilmente sono quelli che hanno redditi non del tutto leciti. quindi vive gente semi-ricca e semi-delinquente ma sono molto felici, nella loro deprimente cittadina tranquilla. mi faccio un giro di 1 ora tra le strade di courcouronnes ed è uno dei posti più tristi che abbia mai visto in vita mia. non vale nemmeno la pena di filmarlo un po’ per testimoniare lo squallore. è ora di andare a dormire, basta far lo zingaro. domani devo tornare a parigi e ho ancora voglia di correre per la strada.
7.
è il 1° maggio, martedì. oggi devo andare a montmarte & cimitero annesso. auto, versailles, il fido parcheggio raymond poincaré, il treno per montparnasse, la metro, il travestimento aznavour più che mai oggi, perchè vado al cimitero: devo andare a trovare françois truffaut. gitanes a tutto spiano, informazioni e acqua che fa un caldo terribile. arrivo al cimitero. guardo la mappa che c’è all’entrata ma non ho un buon senso dell’orientamento e subito mi perdo. trovo un tipo travestito come me, peccato per i capelli lunghi e la pancia gonfia di alcool, e chiedo se ha una mappa del cimitero; mi dice di si, è più previdente del sottoscritto. mi indica la strada e raggiungo la mia meta. è lui: ce l’ho davanti. dopotutto se sono qui, principalmente, è per te. ‘ciao françois, come va? ma di un po’, dove sei adesso? niente di nuovo da quando te ne sei andato, comunque troppo presto. 52 anni, eh? maledetto tumore, s’è portato via mia nonna e lo zio di mia madre e chissà quanti ogni giorno. a proposito, lo sai che vado matto per ‘que reste-t-il des nos amours’? piaceva anche a te, no?; l’hai usata come colonna sonora di ‘baci rubati’. hei hei, françois, ti sto scrivendo una lettera. è il racconto del mio viaggio e la dedico a te e a tutti quelli che ti hanno fatto buona compagnia.’ mentre discorro del più e del meno con françois la gente comincia ad avvicinarsi. forse sono incuriositi dal fatto che non giro per tombe ma sono fermo lì da 10 minuti ormai, con le gitanes e tutto il rispetto. si avvicina una coppietta americana, poi una signora francese, poi un ragazzo. parliamo di françois, qual’è il tuo preferito? quelli della serie di antoine e colette? no il mio è ‘l’uomo che amava le donne’, mi ci rivedo un sacco nel protagonista: si, quello che amava più il riflesso dell’amore che l’amore stesso. forte anche jean-pierre léaud che andava in giro a chiedere se le donne sono delle streghe. ehehe, si, belle idee. ora scusate, devo andare a vedere la chiesa. ma non da vicino, da lontano. vicino ci sono i turisti, lontano ci sarò io e la vista della chiesa che mi ha fatto sognare nei film di truffaut. arrivo lì, si è proprio quella la casa dove ha girato ‘l’amore a vent’anni’. wow, sono qui. non posso crederci. giorno dopo giorno sto realizzando tutto quello che mi sono prefissato, davvero non può andare meglio di così. rimango lì a gustarmi la chiesa di un bianco quasi immacolato e decido di prendere la metro a pigalle. pigalle è il quartiere ‘hot’ di parigi. non faccio dieci metri senza essere fermato da qualcuno che mi propone le cose più assurde. un tipo mi avvicina, chiede di dove sono e rispondo ‘italiano’. allora mi fa in un buon accento: ‘paolo, vieni con me. per 25 euro ti faccio vedere una bella figa stretta di diciotto anni’. ho voglia di ridergli in faccia ma ripiego su un ‘non oggi, grazie’. oggi vado per morti. cimitero père lachaise. jim morrison è un percorso forzato, mi basta seguire un gruppo di ragazzi per arrivare direttamente lì, senza nemmeno chiedere informazioni. mi affaccio, lancio un ‘ma va...’ e mi dirigo verso amedeo modigliani. le parole sulla tomba sono di circostanza: ‘morte lo colse quando sopraggiunse la gloria’; insieme a lui è sepolta jeanne hebuterne, sua compagna degli ultimi anni. si suicidò al 9° mese di gravidanza, il giorno dopo la morte del pittore. beh, molto meglio star qui che da jim morrison. ma l’aria s’è fatta insopportabile, il caldo è davvero afoso e il travestimento aznavour non è facile da portare così a lungo e decido di andar via. cambio due linee di metro, solito treno per versailles chantiers e riprendo l’auto. stavolta sbaglio strada alla grande e vado verso nord anzichè verso sud. esco al primo paesino e chiedo indicazioni a due ragazzi: sono sordomuti. già è difficile capire il francese, adesso capirlo da due sordomuti è davvero impossibile. mi chiedono come ho mai potuto perdermi lì, a più di 30 km da versailles, in direzione opposta alla mia prefissata. rispondo che se lo sapessi magari saprei anche prendere la strada giusta. non ridono. prendo carta e penna e dico ‘senti, non te la prendere, scrivi che sennò facciamo notte’. mi indicano la strada e.. ci credereste? è la strada sbagliata. mi perdo ancora. vorrei ripassare dal paesino e mandarli allegramente a fanculo, e chissenefrega se sono sordi e non mi sentono, almeno mi sfogo. comunque ritrovo il bandolo della matassa e riprendo la strada. solito stop al solito mcdonald vicino évry, solita ragazza di scintillante fascino francese, nasino all’insù, lentiggini e capelli ricci e biondi. bye bye, ragazza, domattina vado via e non ci vedremo mai più. o forse si, chissà. rientro in albergo, doccia in corridoio tra lituani e polacchi che camminano scalzi e mi guardano sospettosamente e in silenzio. e che diamine! dovrei essere io ad avere pregiudizi, non voi! in camera poi faccio qualche conto con la moneta e vedo che i conti tornano, anzi, sto spendendo anche meno. sono quasi felice: domani andrò in inghilterra e si continua con il viaggio. metto un po’ di musica a random e mi addormento su ‘in morte di s.f.’ di guccini, forse per scaramanzia; cado sul letto come corpo stanco cade mentre le parole della canzone risuonano nella mia testa: ‘lunga e diritta correva la strada...’
8.
mi sveglio con un’idea in mente: è bello andare via da courcouronnes! trovo subito la strada, autoroute 16, direzione boulogne-sur-mer. arrivo alle 15, il primo traghetto parte alle 16.40; faccio il biglietto e scopro che i prezzi non sono esattamente come indicato sul sito internet. sul sito parlano di 50 euro e qui me ne chiedono 72. mi esibisco in un ‘congratulations!’ e il tipo sorride: ‘quei prezzi sono per chi prenota con la carta di credito’ ‘stronzi, perchè non lo indicate, allora?’ vabbè. il traghetto, il bar e perfino i cessi esibiscono bandierina inglese. probabilmente è anche territorio inglese e subito mi scontro con la cara realtà d’oltremanica. chiedo un caffè e me ne servono un litro, talmente bollente che mi ricorda una certa camera d’albero a rozzano, vicino assago. per il caffè sono 2 euro 75. gesù, ma siete pazzi? non vedo l’ora di salpare. e poi finalmente arriva il momento. sul traghetto faccio conoscenza con un simpatico 67enne, pilota di navi in pensione. mi mostra la foto della moglie, mi dice che ha fatto 5 volte il giro del mondo in nave. lavorava per una compagnia greca. prendeva merce in una nazione e la portava in un’altra e così, sempre, per più di 30 anni. si parla del più e del meno, forse mi prende in simpatia quando gli dico che sono un militare e si congratula per la mia impresa in auto. ‘queste cose le puoi fare, ora che sei giovane. sai.. quando hai la tua età pensi di non poter mai diventare vecchio, ma.. credimi, arriva così in fretta..’ c’è molta tristezza nei suoi occhi. io ripiego su argomenti più pratici. si pagano le autostrade? e sono buone? il traffico? e la via migliore per arrivare in scozia? lui risponde paziente. il viaggio sul traghetto dura appena 50 minuti. arriviamo a dover, le famose bianche scogliere di dover, che sono diventate grigie per via dell’inquinamento. sono molto nervoso perchè devo guidare a sinistra. la prima sorpresa è che anche le rotonde si prendono nel verso contrario. questo non me l’aspettavo proprio. mi dirigo in direzione m20, l’autostrada che porta verso londra; poi direzione oxford, birmingham, manchester, newcastle , edimburgo. totale 750 km. la seconda sorpresa è che è tutto alla rovescia: si entra in autostrada da sinistra e la corsia più veloce è la destra. la mia terza (e più brutta sorpresa) è uscire ad una stazione di servizio. il sistema autostradale inglese è un po’ complicato: se si esce in un’area di servizio, poi bisogna stare attenti, perchè si può prendere l’autostrada anche nella direzione opposta. ma torniamo alla sorpresa. mi fermo per fare benzina. e scopro di aver dimenticato di cambiare gli euro in sterline. e da queste parti, credetemi, gli euro non li vogliono vedere proprio. oh my god, e ora che faccio? beh, mi rimetto in autostrada: vedo il cartello m20 e mi ci fiondo. ma al cartello successivo scopro che sto tornando indietro. ho preso la direzione contraria? come è mai possibile? allora capisco che tutto è possibile, lontano da casa. ok, rifletti paolo: torna a dover e cambia i soldi. arrivo a dover ma è tutto chiuso. ho fatto 70 km in una direzione e 70 nella direzione opposta, come una trottola impazzita: non ho soldi, neanche una sterlina per prendere un caffè, nemmeno per la benzina. ho sprecato 2 ore del mio tempo e 140 km di strada per ritornare al punto di partenza. cosa fare, cosa fare? semplice: mi dico ‘paolo, con calma ora riprendi la m20 in direzione oxford e guida finchè non avrai altro che pochi km di benzina. dopodichè, ti metti a dormire. domani, quando ti svegli, esci al primo paese che incontri e qualcosa troverai. per forza, perchè sarai così disperato di cambiare soldi & metter benzina che qualcosa troverai.’ allora faccio come penso, e ancora un po’ sotto shock mi rimetto sulla strada.
9.
il fortunato paesino che scelgo si chiama banbury, ed è a qualche decina di km da oxford.. sono le 8.30 e vado alla posta per cambiare i soldi. alla posta vendono cd, cartoline di auguri e ricariche per cellulari: il regno unito è un altro mondo. cambio i soldi e la società poste inglesi si becca 16 euro di commissione. faccio colazione per una cifra a dir poco esorbitante, con il solito litro di orribile caffè e con un tentativo malriuscito di pan au chocolat, praticamente un cornetto al cioccolato, che riesce bene ai francesi e molto meno agli inglesi. fa freddino, certe gente porta addirittura i guanti. faccio un giro in centro, cercando un caricabatterie da auto adatto al mio cellulare, ma non lo trovo. è da ieri che la ruota della fortuna non gira più per paolo. l’avrò dimenticata sulla costa di boulogne, in francia? mah.. ritiro altri soldi e mi rimetto in cammino. le autostrade inglesi non hanno un buon asfalto, in certi punti sembrano strade di campagna ma almeno non si pagano e sono molto scorrevoli, benchè parecchio trafficate. è una giornata di viaggio, è una giornata di mucche e pecore, rispettivamente mucche sulla destra e pecore sulla sinistra. sarà buffo ma per 750 km ho visto mucche e pecore, destra e sinistra. si devono annoiare anche loro ad avere sempre la stessa visione dall’altra parte della strada. è una giornata in cui scopro che gli inglesi non amano molto il gpl, carburante un po’ difficile da trovare qui. e la mia auto va a gpl e benzina. la benzina costa un occhio della testa. l’inghilterra mi sta portando via dalle tasche tutti i soldi che sono riuscito a risparmiare in questi giorni. già ti odio, inghilterra. d’altra parte oggi scopro che hanno un tipo di attacco diverso per la pompa del gpl, e questo significa che non posso fare rifornimento. provo a chiedere alle stazioni di servizio ma loro non sanno nemmeno di che parlo, quando mostro la mia auto e parlo del problema. inghilterra, tu mi farai arrabbiare. continuo a guidare, a 160km/h, voglio raggiungere in fretta la scozia e lasciarmi alle spalle l’inghilterra, terra che in meno di 24 ore mi ha dato già parecchi grattacapi. alle 19 di sera, arrivo al confine. cammino un altro po’, mi fermo a dunbar, compro sigarette. costano 6 sterline e 20, praticamente 9 euro e 85. più del doppio che in italia. jesus, questi sono matti.. poi vagabondo un po’, meravigliandomi che alle 21 di sera è ancora pieno giorno. unica nota positiva in una giornata francamente di merda. quant’è dura l’avventura, mi ripeto e inganno il tempo cercando di tradurre questa frase in inglese, cercando di fare anche la rima. inutile dire che non ci sono riuscito. mi fermo a gifford, tipico villaggio scozzese, desolato e desolante. c’è un pub-birreria-b&b e chi più ne ha più ne metta, si chiama ‘goblin ha’. vogliono 35 sterline ma la stanza è davvero carina. accetto, do nome cognome e indirizzo, e alle 22.30 di sera, con il tramonto alle spalle, bevo un paio di birre nel locale, guardandomi intorno e sentendomi solo. certe volte non va come credi. ‘chissenefrega, sono stato più che fortunato finora. e poi sono in scozia, che diamine. ce l’ho fatta. chi l’avrebbe mai detto?’ penso. salgo in camera, doccia bollente, qualche biscotto, una sigaretta. mi affaccio alla finestra prima di andare a dormire, c’è una timida pioggerellina e la fioca luce della luna che riflette il suo chiarore sull’asfalto della strada.
10.
è mattino e stranamente c’è il sole. il sole mi va bene, prendo l’auto e comincio a scoprire la selvaggia scozia. prendo un ponte e punto verso dundee, così, la prima città che mi va di vedere. sono 160 km da qui e il paesaggio è come me l’ero immaginato. arrivo a dundee e scopro che le ragazze sono davvero belle. la seconda cosa che scopro è che non hanno caricabatterie da auto per il mio cellulare. giro 4 o 5 negozi di cellulari & affini. chi mi conosce sa che odio i cellulari e non sono mai andato in giro in cerca di accessori, nemmeno nel mio stesso paese. ora sono qui a migliaia di km da casa e giro per tutti i negozi, la cosa mi fa ridere. ma non demordo. ormai lo spengo per tutto il giorno e lo accendo solo quando devo chiamare, la batteria è allo stremo e boccheggia. poco male, posso risolvere con una scheda telefonica, cabine ce ne sono. continuo a girare per la scozia, mi fermo ad una stazione di benzina, chiedo da mangiare e da bere e il ragazzo mi da un boccale da litro di birra. 1 litro di birra, 1 litro di caffè.. ‘sti tipi non conoscono mezze misure, penso. ok, punto verso inverness, in cerca di caricabatterie. ormai sono nelle highlands e il paesaggio si fa sempre più simile all’idea di scozia che hanno un po’ tutti. trovo un ragazzo per strada che chiede un passaggio; mi fermo e lo carico. si chiama hamish, un nome più scozzese di così non si può. è simpatico, parliamo subito di un po’ di tutto, di calcio, di scozia, di italia e di dialetti. gli racconto il mio problema con il cellulare e facciamo un patto: se riesce a trovarmi qualcosa per caricare il mio cellulare (anche un semplice adattatore per presa a muro mi va bene, ma sono tra la campagna e la collina e dove lo trovo ora?) lo porto esattamente sotto casa, a 60 km di distanza. lui accetta e ci fermiamo in un centro commerciale abbastanza grande che, credetemi, è isolato da paesi e grandi città. sorge così, in mezzo ad una campagna. il regno unito è davvero un’altro mondo. devo mantenere la promessa. lo porto nel suo paesino, newtonmore. ormai sono quasi le 21.30 e mi metto in cerca di un posto per dormire. ma prima devo caricare il cellulare: ho detto ai miei che li avrei chiamati alle 21 ora italiana, ora saranno le 22.30. mia madre sarà già andata in chiesa a pregare per la salvezza della mia anima. entro in un bar, indossando la stessa faccia di bronzo che ho indossato ad antibes quand’ero in cerca di bagnoschiuma. chiedo un caffè e loro sono straniti, nessuno ha mai ordinato un caffè a quell’ora, prima d’allora. ma lo straniero è in città e vuole il caffè. ovviamente me ne preparano un litro, e io lo macchio con mezzo litro di latte freddo, giusto per dargli una parvenza di digeribilità. ‘scusate, potrei chiedervi una cortesia? sapete, ho bisogno di caricare il cellulare e non so dove andare, non è che mi fareste la cortesia di attaccarlo alla presa per 10 min? giusto per dargli un po’ di vita..’ e la ragazza mi risponde: ‘mi dispiace, stiamo chiudendo’. grazie, stronza, davvero ospitale. e sai che ti dico? ‘sto caffè è il più brutto fra tutti gli orribili caffè che ho bevuto da quando sono qui. beh, avrei voluto dirglielo ma non l’ho fatto. esco in strada, e c’è una panchina invitante che mi dice ‘siediti qui e riposati un po’’. ascolto il suo consiglio. c’è una scritta sulla panchina, in lettere dorate. ‘possano essere felici tutti coloro che siedono qui’. oh, che bella frase. mi accomodo, io e il mio litro e mezzo di caffellatte e fumo una sigaretta, sperando che la panchina mi dia quella felicità di cui ho bisogno al momento. mi sento ancora una volta solo. ma non sono venuto qui per stare un po’ in solitudine? che diamine, paolo, quanto sei contorto. nessuno per strada ed è il tramonto. oltre le case, all’orizzonte, si stagliano le alte terre, le highland, alcune cime sono anche innevate. dio esiste. mi guardo intorno, alla mia destra c’è un bed & breakfast. è il momento di chiudere questi occhi che per oggi hanno visto troppo. mi apre la porta audrey, una signora paffutella e dall’aspetto gioviale. mi chiede se 30 sterline non sono troppe per me: evidentemente devo aver l’aria di un barbone. rispondo alle sue domande, un po’ a casaccio. ‘no signora, va bene, grazie. solo una domanda: avete il bagno in camera? si? è sufficiente. sa, è stata una lunga giornata. cosa ci faccio qui? in realtà devo solo caricare un cellulare, che per il resto dormirei volentieri anche in macchina. ah.. dice che ci faccio qui in scozia? beh.. è una storia lunga. e triste. vuole sentirla!? c’era una volta una ragazza..’ uhuh, racconto la storia ancora una volta, ma stavolta comincio a sentire anch’io la puzza dei miei stessi stronzi. adesso sono un pezzo di merda come tutti gli altri. audrey mi chiede se preferisco una colazione scozzese o italiana. io opto per la seconda e le chiedo in ginocchio di fare un caffè più corto e concentrato possibile. lei ride e dice che se la vedrà lei. parliamo un altro po’, poi carico il cellulare e chiamo i miei. doccia, qualcosa in tv, sigaretta e l’ultimo pensiero della giornata, prima di chiudere i miei occhi stanchi, è una frase di sant’agostino che dice così: ‘il mondo è un libro e chi non viaggia legge solo la prima pagina’. che dio mi conceda la grazia di continuare nella lettura, per la mia strada.
11.
mi sveglio riposato, faccio colazione insieme ad una ragazza inglese e una coppia slovena. si parla e si scherza, quel poco che si può scherzare fra sconosciuti e soprattutto a quell’ora del mattino. sono le 8. il cielo è un po’ nuvoloso, ma di un bianco e nero scintillante. fa freschetto. è ora di andare via. saluto audrey e lei mi abbraccia come se andasse via un figlio. cara signora. mi dice di aver cura di me e stare attento alla strada. ‘non si preoccupi, audrey, farò del mio meglio’. faccio un giro per kingaussie, il paese dove ho dormito questa notte, che è attaccato a newtonmore, il paese di hamish. solito tipico villaggio scozzese. nulla di nuovo sotto il sole, ammesso che faccia capolino tra le nuvole. devo correre. mi metto in auto, destinazione nord. faccio il percorso prefissato e mentre sono nel bel mezzo di uno splendido paesaggio da cartolina sento una vocina dentro di me che dice di fare inversione a u e andare via, all’istante. non ci bado ma la vocina si fa sempre più insistente. sono le 11.04, sabato 5 maggio. trovo un posto adibito al parcheggio, guardo nello specchietto retrovisore, dietro non ho nessuno. davanti, nemmeno. faccio la mia inversione a u veloce e senza pensarci. al km 10420, dopo 4899 km di strada, sono ufficialmente sulla via del ritorno. perchè l’ho fatto? perchè non ho niente, e quindi niente da perdere. sorrido mentre dylan nel mio stereo canta ‘4th time around’ con quella melodia così orientale eppure terribilmente americana. ho ancora un sacco di km da fare e tutta l’inghilterra da attraversare. guido per tutto il giorno, felice e spensierato, talvolta maledicendo il prezzo della benzina nel regno unito e gustando tutti i caffè che bevo, litro dopo litro, pensando che sono gli ultimi che bevo in questi giorni. chissà magari un giorno ci ripasserò, di qui. ora però devo andare via. passo per oban (antonio, questa è per te) e glasgow. continuo a guidare e arrivo sulla m25, la london orbital, un autostrada che fa il giro della capitale. mi perdo un po’, ritrovo la strada, poi la riperdo. esco in un paesino che si chiama rickmanworth, sono le 22 di sera. chiedo aiuto ad un uomo, classico inglese biondo e col naso rosso per il troppo alcool. mi chiede come diavolo ho fatto a perdermi lì, mi chiede se ho bevuto, e pronuncia un ‘fucking scotland’ quando gli dico che sono in viaggio da prima di glasgow. hey, please, aiutami, e non ti incazzare se vengo dalla scozia. ho degli amici lì, a me piace l’inghilterra, mica quelle terre desolate. si calma un po’ ma in quel momento ho avuto un po’ paura. mi spiega la strada che devo fare, e io lo ringrazio. mi ha indicato la strada sbagliata, lo stronzo. stavolta ne sono sicuro. mi ha detto di prendere la m4, ma la m4 va solo in direzione ‘london centre’. no, io nel centro di londra non voglio proprio perdermi, mi è bastata milano qualche giorno fa. spremo le meningi e riesco incredibilmente a trovare la strada per la m25 direzione sud, direzione dover, direzione casa. faccio ancora un po’ di strada e mi fermo nei pressi di sevenoaks, in un area di servizio. mancano circa 50 km per dover e domattina devo mettermi presto in viaggio per prendere il primo traghetto per la francia. mentre mi addormento ripenso ai giorni passati e sono contento di quello che ho fatto e contento anche di quello che non ho fatto. ho l’immagine di dylan nella mia testa che canta sul palco ‘like a rolling stone’ e io che canto con lui il ritornello. il ritornello significava molto prima di partire e significa molto ancora adesso. dice: ‘come ci si sente? come ci si sente, a cavarsela da soli, sentendosi degli sconosciuti, a vagabondare senza una direzione, come un sasso che rotola?’ oh, zimmie, ci si sente benissimo. ci si sente liberi. mi sento libero come un uomo incosciente e compiaciuto della mia stessa libertà. mi sento come l’ebreo errante. la sapete quella dell’ebreo errante? no, non è una barzelletta, è una antica leggenda. beh se non la sapete, ve la racconto. 2000 anni fa, viveva a gerusalemme un uomo di nome assuero, professione calzolaio. era tra coloro che avevano condotto gesù davanti al gran sacerdote. aveva sentito la sentenza di condanna a morte e rallegrandosene era corso fino a casa per informare moglie e figli. così li fece uscire dalla bottega per assistere al passaggio del condannato che sarebbe stato condotto al supplizio proprio per quelle vie. gesù apparve fra la folla che inveiva e lo insultava; piegato sotto il peso della croce, si appoggiò allo stipite della porta di casa di assuero per riprendere fiato. allora assuero lo aveva preso per il braccio respingendolo duramente: ‘vai più svelto, gesù... perchè ti fermi?’. si dice che gesù lo fissò con uno sguardo privo di alcuna clemenza e rispose: ‘io andrò, mi fermerò e mi riposerò: mentre tu camminerai fino al mio ritorno’. e assuero, come una specie di maledizione, messo per terra il figlio che aveva in braccio, si mise subito in cammino. assistette alla morte di gesù e camminò per la città fino all’alba senza fermarsi. poi andò via per il mondo e da allora, si dice che sia sempre errante. le cronache medievali di molti paesi parlano di lui, pare si stato visto in armenia, in belgio, in spagna e francia; viene chiamato assuero, isaac, cartaphilus. ha decine di nomi e si dice che abbia fatto il giro del mondo, a piedi, più di 20 volte. e questo è quanto. prima di addormentarmi mi chiedo se nel mio vagabondaggio ho incrociato gli occhi dell’ebreo errante. chissà se ci siamo visti, su questa strada.
12.
il 6 maggio comincia con un avvenimento eccezionale. appena sveglio nell’area di servizio di sevenoaks, entro nel bar e faccio una buona colazione. chiedo un caffè espresso e me lo fanno quasi decente, il cornetto poi è più che mai commestibile. ehi inglesi, volete prendermi per la gola? no no, ho deciso, devo andare. sono le 8.30 e devo precipitarmi a dover, per prendere il primo traghetto. alle 9.30 arrivo nel paese delle un-tempo-bianche scogliere, riguardo il paesino e mi ricordo di qualche giorno prima, quando avevo fatto avanti e dietro come uno scemo e l’inghilterra mi aveva subito deluso. non c’è tempo nemmeno per i ricordi. tra litri di caffè e attacchi di gas strani e prezzi esorbitanti, il regno unito mi ha giocato una serie di brutti scherzi. ma io sono un tipo alla mano e li prendo con un sorriso. vado alla biglietteria di ‘speedferries’ e scopro che il biglietto per il ritorno costa 62 sterline, 98 euro e spiccioli. no, ragazzi, non ci siamo. dalla francia 72 euro e dall’inghilterra 98? per la stessa tratta? alle stesse condizioni? il prezzo del biglietto è l’ultimo scherzo in una serie di brutti scherzi, forse il meno riuscito. pago il dovuto, un po’ incazzato e mi dirigo verso il bar. voglio ingurgitare il mio ultimo litro di caffè: la barista è simpatica, parliamo un po’, mi fa un caffè in piena ‘media inglese’ e dopodichè si salpa. ore 10.15. ore 11 arrivo a boulogne, ma devo mettere un’ora avanti, quindi è già mezzogiorno. mi dirigo nel centro del paesino, stavolta ricordo di non aver cambiato le sterline in euro. se cercate qualcuno che organizzi i vostri viaggi, lasciatemi perdere, potrei mandarvi allo sbaraglio per l’europa, e senza nemmeno la valuta corretta. vado alla posta, ritiro il necessario per una mezza traversata europea, ‘il resto lo ritiro quando sarò in italia’, penso. autoroute 16, direzione calais, dunkerque, gend, brussels, liège, aachen. aachen è una città tedesca ai confini con il belgio, forse meglio nota come aquisgrana. ho promesso a mio padre, prima di partire, che sarei passato di lì a fare delle foto alla cattedrale. per chi non lo sapesse aquisgrana è chiamata la gerusalemme d’europa e ha milioni di visitatori l’anno. beh, machissenefrega, io non sono qui per fare il turista, son qui per una scommessa. ho mangiato qualcosa in un’area di servizio in belgio, verso le 15. ora sono le 17.30 e dopo aver trovato un parcheggio, con le istruzioni scritte solo in tedesco (!), chiedo informazioni e mi dirigo verso la cattedrale. in effetti lascia senza fiato. faccio le mie foto e chiedo se si può entrare ma mi dicono di no, spiacenti, fra pochissimo chiudiamo. ok. dentro, in quella cattedrale, ci sono reliquie di gesù, maria, giovanni battista e le spoglie di carlo magno, nonchè il trono dove furono incoronati più di 30 suoi successori. ma io non ci posso entrare. qui fuori dalla cattedrale ci sono solo bar e turisti e io posso stare solo qui. mi sembra un po’ ingiusto, comunque, vado via. torno al parcheggio, ottimo caffè in un bar (guarda un po’) di italiani, e poi penultima meta del mio viaggio. andernach, città natale di henry charles bukowski. andernach è a 180 km da aachen ma li faccio a velocità supersonica, grazie all’autostrade tedesche, scorrevoli e con limiti di velocità decenti, o forse indecenti. prendo l’uscita per andernach alle 20.30, entro in paese. è piccolo, potrà avere non più di 30mila abitanti e trovo subito un parcheggio. è gratis. ‘sti tedeschi hanno capito tutto, mi piacciono. andernach ha la solita struttura nord-europea di altri paesi: il centro è zona pedonale, pieno di negozi, mentre al di fuori del centro ci sono case case e solo case, stessi tetti, stessi portoni, vie fatte apposta per perdersi, insomma. arrivo nel centro, ci sono bancarelle, musicisti, praticamente è festa. oh, che bello! ristorantino all’aperto, due tipi dall’aria affidabile mangiano pasta e io li interrompo in un inglese misto a tedesco: ‘scusate se vi disturbo, non sapreste indicarmi un albergo carino qui in zona?’ e loro, molto disponibili, mi dicono che alloggiano al ‘cafè am markt’, proprio quel portone lì, vedi? 30 metri da qui. chiedi pure di gerd, è il proprietario. oh si, vedo. grazie. mi dirigo: un signore sui 50 anni passati e sui 100 chili passati e sul metro e 90 (e passa) mi sorride quando entro. ‘mi scusi, lei è gerd?’ ‘JA!’ ‘mmm, parla inglese?’ ‘JA... yes!. parliamo, mi dice il prezzo, 35 con la colazione, 30 senza. scelgo senza perchè tanto non riuscirò mai a svegliarmi per quell’ora, nè riuscirò mai a digerire una colazione che non è fatta di caffè e biscotti. ognuno ha i suoi limiti. alcuni dicono che ne ho parecchi: più precisamente, lo dico io. mi da la chiave, numero 11. ‘11 come gigi riva’, mi ricorda. e ride di gusto; anche io rido, soprattutto per quel modo tutto tedesco di pronunciare le ‘g’ come fossero ‘c’ e per come arrota la r. ‘cici rrriva’ è l’ultima cosa che mi aspetto di sentire dopo una giornata così, e rido mentre salgo in camera. la camera è come mi sarei aspettato fosse una camera tedesca. lavandini gialli, doccia gialla, manca il poster di beckenbauer alla parete e l’effetto retrò anni 70 sarebbe completo. lascio tutto e mi fiondo nel bar dell’hotel per una birra. la serata non è ancora finita e sono contento così. ritorno giù e giù c’è una ragazza bionda, un angelo. lei guarda me, io guardo lei. è davvero bellissima, ed è anche più alta di me, cosa cerco di più? gerd mi vede un po’ ‘accellerato’ e mi chiede come mai sto cosi. gli parlo in mezzo inglese e mezzo tedesco. c’è altra gente nel locale, simpatici signori di mezz’età, ci sono anche signore e poi c’è l’angelo tedesco senza nome. ho gli occhi puntati addosso e spiego: ‘gerd.. ieri mattina ero a glasgow! stamattina alle 8.30 ero a londra! a mezzogiorno ero in francia, alle 15 mangiavo un panino in belgio e 3 ore fa ero a 180 km da qui, ad aachen, a fare fotografie alla cattedrale. questo è il quarto stato da stamattina e sono solo e tutto con la mia auto! non è abbastanza per essere un po’ accellerato? sto viaggiando alla velocità della luce!’ gerd si fa una grassa risata e annuncia: ‘ein bier fur paolo!!’ e qualcuno che è vicino a me, brinda e dice che è un bel viaggio quello che ho fatto. oh si, lo è. parlo un po’ di me, racconto da dove vengo e cosa faccio, e gerd alla fine di ogni mia frase aggiunge ‘ein bier fur paolo!’, perciò tendo ad allungare sempre più le mie frasi, sperando che durino un’eternità. gerd.. no..no.. ti prego non dirlo.. ‘ahahahah, ein bier fur paolo!’ e bier su bier mi fa bere quattro boccali e fumare 12 sigarette in un’ora. sarebbe troppo per chiunque, non solo per me. vado fuori sulla piazzetta, ci sono turisti francesi, i musicisti, aria di festa. l’angelo tedesco esce anche lei e mi sorride di nuovo. di solito sono timido in queste faccende ma 4 boccali farebbero sciogliere anche il più pudico dei preti e mi avvicino, le chiedo il nome. si chiama svenja. parliamo un po’, le chiedo se ha il ragazzo e lei mi dice di si; lavora nel bar di fronte e io maledico tutti i-bar-di-fronte di questo mondo. le dico che mi dispiace perchè l’avrei invitata volentieri a fare un giro e sono contento quando mi risponde ‘dispiace anche a me’. mi chiede come mai faccio questo giro per l’europa e che faccio, non rivendo per l’ultima volta la mia storia? lei è colpita e sorride, io sono uno stronzo e il mondo è bello ad andernach, sotto le stelle, in una di quelle sere in cui sembra romantica anche la morte. ho attraversato 4 stati in 12 ore, sono in un paese in festa e sto parlando con un angelo biondo di nome svenja, anni 19: ci sono giorni in cui non può andare meglio di così. questo è uno di quei giorni e io lo so, un pizzico di tristezza mi affonda il cuore manco fosse una barchetta nella tempesta perfetta e io prendo carta e penna. ormai sono quasi del tutto andato, questa birra sale a distanza di tempo e io gesticolo un po’ come una marionetta. carta e penna in mano scrivo due bigliettini e una lettera, all’aria aperta. uno è per svenja, l’altro è lo stesso bigliettino, ricopiato, che riscrivo (previdente) x sapere il giorno dopo cosa davvero le ho scritto; la lettera è una lettera ‘alla spina’, figlia naturale della birra. a svenja le scrivo: ‘vorrei saper comporre per te una melodia tanto semplice che ti aiuti a sopportare il peso della tua stessa bellezza’: ora, che voi la riteniate una bella frase o no, io sono sicuro di due cose: 1. lei l’ha apprezzata perchè ha sorriso come solo un angelo può fare, e 2. beh, l’ho rubata da qualcuno.. solo che non so da chi. quelle non sembrano parole mie. macchisenefrega. e questa è la lettera alla spina: ‘caro hank, sono qui. sono qui dove sei nato. lo so, dicesti: ‘il lettore che mi è più caro è quello che mi fa la cortesia della sua assenza.’ ma tanto ormai non ci sei più. nè qui ad andernach, nè qui al mondo. continuo a raccontare bugie alla gente, ti da fastidio? andiamo, tu stesso eri un bugiardo. ok, non un bugiardo cattivo. tutto quel parlare di donne, com’è che dicevi? ‘una donna non è molto di più di quel che un ragazzino scrive sui muri di un cesso pubblico’ ..e poi? ti commuovesti quando parlavi di linda. allora lo vedi che eri un bugiardo? svenja, dove sei? se c’è una ragazza che merita il titolo di ragazza più dolce, allora è qui, ad andernach. svenja è alta bionda e con gli occhi azzurri, è un angelo e non ha sesso. o forse sì, e io non gliel’ho visto. qui vicino c’è una stazione, sento il treno passarmi addosso. mi passa addosso e vorrei gridargli ‘treno!! brutto stronzo, dove cazzo vai? e chi porti con te?’. vorrei aver rubato tutte le facce della gente che ho incontrato, senza farmi vedere. ogni persona fa qualcosa ‘per vivere’ e altre per ‘mantenersi vivo’, e se conoscete qualcuno che non lo fa, allora ditemi il suo nome. io sto provando a vivere e a mantenermi vivo. se dio vorrà questo è solo il primo dei viaggi che farò, ma so che sarà unico, e irripetibile. perchè non partirò mai più con la sensazione della prima volta. perchè non può essere mai, per due volte, come te l’eri immaginato. perchè puoi tornare indietro col tempo, ma non potrai mai tornare indietro del tutto. f. scott fitzgerald faceva dire un sacco di stronzate ai suoi personaggi. la via che sto seguendo è quella del mio sogno e si aprono porte anche dove non ce ne sono. domani vengo a trovarti a casa hank, uhuh, sta’ attento. ciao.’. frasi un po’ scollegate ma almeno è sincera. è tempo di dire buonanotte, svenja va via, vanno tutti via e io rimango con le chiavi dell’albergo, gentilmente concesse da gerd, in mezzo alla piazzetta deserta di andernach. è l’una passata e sono davvero andati tutti via. ci sono le stelle, ho lo stomaco in subbuglio e dopo una giornata così vissuta potrei aspettarmi di tutto in quella piazzetta. il gobbo di notre-dame, einstein che suona il violino, casanova che seduce un lampione o persino cenerentola che spazza la strada.
13.
7 maggio. ieri sera ho vomitato di tutto, e vomitare nella città natale di bukowski ha un significato particolare. significa probabilmente che sono uno scemo. occhi gonfi, capelli ridicoli ancora una volta, il mio classico look post-vomito. mi sistemo come posso ed esco in centro, dopo aver caricato le valigie in auto e salutato anche gerd, che mi augura tutto il meglio possibile. grazie gerd, anche a te e a tutti quanti. forse un giorno ci rivedremo, non si sa mai con uno come me. cerco un internet cafè per trovare l’indirizzo di casa bukowski e se credete che questo viaggio non sia stato benedetto da qualcuno lassù sappiate solo che mi avvicino alla prima ragazza che incontro, chiedendo ‘scusa, un’informazione, sapresti dirmi dove posso trovare un internet cafè?’ e lei mi risponde ‘io sono proprietaria di un internet cafè!’ ‘mi stai prendendo in giro? e ora dove stai andando?’ ‘ad aprirlo.’ ‘posso venire con te?’ ‘mmm, ok.’. quante probabilità che vi capiti una cosa simile? una su.. boh? non so nemmeno calcolarle. il mio viaggio è protetto da san cristoforo o qualche amico suo. dopo una cosa simile non posso temere niente. apro google faccio le mie ricerche e trovo una foto della casa, le chiedo se sa dove si trova, lei mi dice di ingrandirla e in piccolo, di lato, c’è l’indirizzo della via accanto: ‘im wittem’ è scritto. lei mi indica il quartiere dove crede sia questa strada e io lo raggiungo. chiedo informazioni ma nessuno sa di cosa parlo, quando nomino bukowski. hank, la tua città natale ha dimenticato il suo figlio più grande. giro e rigiro come uno scemo, ma alla fine la trovo. una targa di bronzo col suo faccione di profilo e sotto ‘qui nacque lo scrittore henry charles bukowski, 1920-1994’, in tre lingue: tedesco, francese e inglese. faccio una foto e sono contento di aver fatto anche l’investigatore privato, il mio ultimo travestimento, il più fortunato. è ora di andare via, ma c’è qualcos’altro che devo fare. mi siedo su una panchina, nella piazza dove si affaccia l’albergo di ieri sera, che è chiuso e riapre alle 17. scrivo una lettera a svenja, stavolta cosciente di quello che scrivo. compro una busta, un po’ di scotch, la chiudo e la indirizzo ‘nur fur svenja’ ‘solo per svenja’: per evitare che qualcuno la apra. mi avvicino quatto quatto all’albergo e la infilo sotto la porta. vado via a velocità supersonica e quando giro l’angolo sento qualcuno chiamarmi. è gerd e ha capito tutto. buon gerd, fammi un ultima cortesia e dalle la lettera, poi magari un giorno ritornerò e sarò io a dire ad alta voce ‘ahahaha, ein bier fur gerd!’. metto in moto l’auto e sono le 12. devo guidare fino ad antibes, guardo la cartina e lione è ad un terzo della strada. mi viene un mancamento quando vedo le indicazione per quella città e scopro che mancano 350 km. devo guidare per mille km?! allora accellero e sono la stella vagante dell’autostrada. il pomeriggio scorre tranquillo, la sera pure e arrivo a juan-les-pins alle 23. punto il boulevard raymond poincaré e raggiungo l’albergo. il cancello è aperto, come sempre. entro quatto quatto, per la seconda volta in questa giornata. non c’è nessuno. mi avvicino alla piscina e non ho tempo di pensare che se mi beccano chiamano la gendarmerie. io devo fumare una sigaretta qui e pensare a tutto quello che è successo in queste due settimane circa. alzo le braccia al cielo stellato e mi ripeto che ce l’ho fatta: ho mantenuto tutte le mie promesse e rispettato le mie tappe. ferrara, dylan, castel arabel, parigi & truffaut, la scozia, aachen e la casa di bukowski e il ritorno qui. ce l’ho fatta, quasi mi commuovo. la sigaretta è finita. è tempo di rimettermi in viaggio. soliti pedaggi per raggiungere l’italia. mi fermo verso genova, faccio gas e ritiro altri 200 euro da un bancomat. e poi guido, guido fino alle 5 del mattino, per un totale di 15 ore di guida e 1400 km circa, arrivo a piacenza e mi addormento stremato in un autogrill. per raggiungere casa ho ancora pochi km di strada.
14.
mi sveglio alle 8. sento risate ed un vociare insistente: una scolaresca in gita per chissà dove si è fermata in quell’autogrill e scopro di essermi fermato esattamente di fronte all’entrata del bar. stavo dormendo in auto di fronte all’entrata! mamma, che figura di merda. faccio colazione con qualcuno che mi sogghigna dietro ma sono ragazzini e hanno anche ragione a farlo. poi riprendo la via di casa. non c’è molto da dire a proposito del ritorno. gli automobilisti italiani sono indisciplinati e mi ritrovo in 4 o 5 code prima ancora di arrivare a pescara, code che non ho mai trovato negli altri stati. arrivo a casa verso le 18. il contachilometri segna 14471. significa che ho percorso 8950 km. wow. ho inseguito la mia stella per l’autostrada 61, come nella canzone dell’inizio: l’autostrada 61, dove si risolvono i problemi, se ne creano altri e c’è spazio per tutti i tuoi sogni. sono quasi felice di essere arrivato ma la felicità svanisce non appena chiudo il portone. sento quel rumore rimbombare nelle scale di casa e il sogno svanisce: sono tornato alla vita di sempre, sono di nuovo in trappola. gesù, ma la gente come me si sente sempre in gabbia. quindi, non mi resta altro che aspettare.. sarà il tempo a darmi altre chiavi per aprire i ‘cancelli di casa’ e rimettermi in viaggio, ancora una volta, forse l’anno prossimo, chissà. ‘mi toccherà scrivere qualcosa a proposito di questo viaggio’ penso, salendo le scale di casa. ‘si, scriverò qualcosa.. sperando di non annoiare nessuno’. e mentre abbraccio i miei e penso a cosa scrivere, nella mia testa ho ben chiaro solo il titolo che voglio darle: ‘lettera dalla strada’.