mercoledì 25 luglio 2007

una notte lunghissima

"tutti i vicini pensano che noi siamo strani. e noi pensiamo lo stesso di loro. e facciamo tutti centro" (bukowski)


sin da quando ero bambino, la mia abitudine era quella di nascondermi, tra la tenda e il vetro della finestra. ovviamente, mi nascondevo con la speranza di poter essere trovato... e non è tutto sommato quello che fanno anche i suicidi? mi spiego meglio: molti psicologi dicono che le persone che tentano il suicidio cercano i metodi più bizzarri o meno “adatti” alla loro personalità proprio perchè, nel recondito inconscio, sperano di potersi salvare. in modo che rimanga, "sulle cronache", per così dire, solo il proprio tentato suicidio. un po’ come dire alla gente: “ehi, sono qui, possibile che non riusciate a vedermi? beh, ora non potrete più girare la testa dall’altra parte, ora vi accorgerete di me..”. e così: tentato suicidio.. la gente accorre, il suicida si salva, le persone si preoccupano per lui. dopo un po’ tutto torna come prima. il suicidio è solo un metodo per ribadire la propria volontà di vivere, per quanto paradossale possa sembrare. il suicidio significa “io voglio bene alla vita, ma non posso viverla così, devo liberarmi di questa non-vita”.
ma torniamo a noi.. sin da quando ero bambino, ho iniziato così, no? bene, sin da quando ero bambino il mio gioco preferito era quello di nascondermi, tra la tenda e il vetro della finestra. così la gente, quella in casa, poteva vedermi bene, ed io davo loro le spalle quindi non sapevo quando mi avrebbero trovato.. e nell’attesa, rimanevo a guardare il mondo dalla finestra chiusa. mi piaceva guardare la strada, la gente.. ed è particolare notare come preferissi guardare tutto questo senza sentirne i rumori, quasi mi piacesse ma non così tanto da buttarmici dentro. è un gioco, questo, che è proseguito per tanto tanto tempo. ancora adesso, quando ne ho la possibilità, lo faccio: posso rimanere anche delle ore, in piedi, dietro la tenda, con la fronte appoggiata al vetro.. a guardare il mondo di sotto. questa abitudine (o gioco, come vogliamo chiamarlo?) si è trasformata, col tempo, nella mia passione per il viaggio in auto. è un po’ la stessa cosa: di dietro la gente che mi vede, io che rimango fermo con un vetro davanti, guardo il mondo e sono al sicuro, protetto nel mio involucro. è una bella metafora, questa: mi piace il mondo ma certe volte.. proprio non voglio farne parte. l’ultima volta che ho giocato a questo gioco è stato poco meno di un mese fa, in quella che ho definito la notte più lunga della mia vita. ora, piccola parentesi: ma si può parlare, a 24 anni, di “notte più lunga della mia vita”? cioè, quante altre notti, magari anche più lunghe, trascorrerò in futuro? non è un po’ troppo presto per definire qualcosa “la più lunga, la migliore, la più incredibile etc.. della mia vita?”. d’altronde non posso mica parlare, tanto per fare un esempio, della dormita più bella dei miei ultimi 24 anni.. che senso avrebbe, a parte essere ridicolo? e poi si perderebbe quel senso di fascino, di patetico eroismo oserei dire, nel definire qualcosa in relazione alla propria (intera) vita. avete mai sentito qualcuno che vi raccontava il giorno più bello dell’ultimo mese e mezzo? o il viaggio più bello degli ultimi 7 anni? parlano tutti così, e io in un certo senso voglio adeguarmi. ma torniamo ancora alla storia, che sto raccontando in un modo confuso e bizzarro, senza dubbio volgare.
l’ultima volta che mi sono nascosto è stato circa un mese fa, in quella che definisco ...vabbè, ci siamo capiti. ero a palermo, fine giugno, giornata (e serata) a dir poco torrida: le due di notte e c’erano all’incirca quaranta gradi. ero tornato con i miei amici da cefalù, meta decisa per l’unica vera ragione di alleviare per un po’ le nostre pene dovute all’eccessiva calura. tornammo in camera, doccia, sigaretta, solita chiacchierata. il mattino seguente loro due avrebbero lavorato mentre a me spettava un giorno di riposo dovuto al turno precedente. mi misi a letto, mi giravo e rigiravo, niente da fare, guardai l'orologio sul comodino, che segnava le
2.35.
"proprio non ce la faccio a dormire, loro sono già nel mondo dei sogni, li invidio da morire"; rimasi con gli occhi sbarrati a fissare il buio, cercando di dormire, cercando di non pensare a quella dannatissima zanzara (o era più di una?) che mi ronzava all’orecchio costringendomi a schiaffeggiarmi di tanto in tanto, come se non bastasse già il caldo a darmi fastidio.
2.40.
"dormire non è possibile, devo vestirmi e andare via.. basta, cazzo!"
2.45.
mi misi in auto, uscii dalla caserma col piantone che mi guardava un po’ stranito,
"ma dove vai a quest’ora?"
"lascia perdere, guarda.. dormi, se puoi, che è meglio."
"dove vado, dove vado?" presi l’autostrada, direzione messina. avevo bisogno di guidare, di nascondermi un po’ da questo mondo, avevo bisogno di pensare, di star da solo. un sacco di pensieri s'affollavano nella testa, dovevo scrivere una lettera a daniela e non sapevo nemmeno da che parte cominciare.. cominciai ad impostarla piano piano nella mia testolina e mentre pensavo e ripensavo a cosa scriverle mi accorsi che erano le
3.20.
guidavo piano, per non fare tutto in fretta, perchè io di fretta non ne avevo e comunque sapevo già che rientrando in camera prima del mattino, avrei avuto solo gli stessi problemi di prima. "ho deciso, devo prendere qualcosa da bere", mi fermai in un autogrill: c’era una punto parcheggiata, il tipo nell’auto mi guardò un po’ sospetto, io feci altrettanto. entrai: la barista era dietro a sistemare qualche cartone, poi venne fuori:
“buonasera, prego?”
“ciao, mi fai un caffè macchiato freddo?” poi aggiunsi: “scusa c’è un bagno?”
“esci di qui, subito a destra”
“grazie”. uscii di lì, entrai in bagno: classica toilette all’italiana, funzionavano due lavandini su quattro e un asciugatore su due.. sapone, manco a parlarne. mi sciacquai la faccia, mi diressi verso gli urinatoi. sentii dei passi dietro, ed ecco spuntare il tipo della punto: mi si mise affianco e guardava dritto verso i genitali. io guardai lui, pensai a qualcosa da dirgli ma ci riflettei un po’ su e mi immaginai sdraiato lì in mezzo, con un coltello da qualche parte e sangue dappertutto: non era così che volevo morire. certi pensieri mi fanno passare la sfrontatezza che spesso spaccio per coraggio. evitai di guardarlo mentre lui mugugnava qualcosa di non meglio definito e continuava a fissarmi lì. sapete a cosa ho pensato in quegli istanti? ad einstein. vi racconto in breve: einstein diceva che non hai capito niente per davvero fin quando non sei capace di spiegare quello che sai, con estrema semplicità, anche a tua nonna. poi, incalzato dal giornalista “allora mi spieghi la sua teoria in modo che possa capirla!”, lui rispose “immagina di passare un’ora seduto a chiacchierare con una donna bellissima, e ti parrà un minuto. poi, mettiti seduto su una stufa accesa, per lo stesso tempo, e ti parrà un settimana. questa è la teoria della relatività”. einstein sapeva il fatto suo. beh, sostituite l’omino sulla stufa con il vostro caro paolo che veniva fissato proprio lì da uno sconosciuto, e abbiamo capito il discorso. cercai di soffocare una risata isterica quando realizzai “a chi altri verrebbe di pensare ad einstein mentre ha un maniaco di fianco, in un autogrill, alle 3 e mezza di notte?”.. forse solo a me. risi della mia unicità che spesso è l’unica ragione per cui sono contento di essere paolo l’abbate, e non qualcun altro. non mi lavai le mani (e non chiedetemi il perchè..) e mi diressi di nuovo verso il bar. il tipo uscii e rientrò nella sua punto, probabilmente ad aspettare il prossimo malcapitato. ero contento di non essergli piaciuto. raccontai l'accaduto alla barista e lei mi fece:
“guarda, questo signore è sempre qui, parcheggiato in auto, 2 o 3 notti a settimana se le fa qui. mi sono sempre chiesta il perchè ma ora che me l’hai spiegato...” poi aggiunse, ironica: “ed io che avevo paura.. ora non ce n’è più bisogno, siete voi maschi che dovete stare attenti.. come cambia il mondo! non siamo solo noi, ora, a doverci preoccupare di subire violenze..”. "senti, ti disturberebbe molto se restassi qui un po' a chiacchierare?"; avevo voglia di chiacchierare, non avevo niente da fare e il tempo sembrava proprio non passare mai. "certo, figurati.. anzi, così passa il tempo anche per me!", e così parlammo. si chiamava adelaide, 33 anni e 2 figli, gemelli. era una bella ragazza, ma si vedeva chiaramente che quel lavoro la stava portando ad un invecchiamento precoce, chissà, magari faceva sempre i turni di notte. aveva due occhiaie che avrebbero potuto competere (e vincere) con le mie e i movimenti di una persona che proprio non ce la fà più. adelaide era di tusa, 30 km da cefalù, sposata e divorziata. ora viveva con la madre, che le teneva i figli mentre lei lavorava in questo posto di merda. volle sapere cosa ci facevo io lì, a quell’ora della notte, e le raccontai un po', del mio lavoro, della mia insonnia, del caldo che non mi faceva dormire.
"fai bene a cercare la solitudine, certe volte, se potessi lo farei anche io. ma non posso più ormai.. sai com’è, per i bambini, mica per altro..”.
pensai: "no, non so com’è, non so cosa significhi avere dei figli ma grazie per avermelo detto: un altro mattoncino nel muro che mi sto costruendo", e sappiate che il muro si intitola “dammi qualche ragione per cui non vuoi una moglie e dei figli”. rimasi a parlare ancora un po’, poi, alle
4.00.
decisi di andar via. "ciao adelaide, piacere d'averti conosciuta", "il piacere è stato mio. ciao paolo, ripassa se ti capita un’altra notte insonne" e le promisi che sarebbe stata la prima a cui avrei pensato. no, forse avrei pensato prima al maniaco. "ma la prossima volta, se mai ce ne sarà una, non mi farò trovare impreparato: farò la pipì prima di partire, come i bambini"; la lasciai che rideva, quando mi rimisi in auto, con la mia musica deprimente e le lucky strike che mi deprimevano ancora di più. fumavo due pacchetti al giorno, "e quando mi deciderò a smettere?", pensavo, mentre guardavo l’orologio sul cruscotto che segnava le
4.05.
guardai il cellulare e nessuna chiamata. "nessuno mi pensa, nessuno mi squilla, nessuno mi caga, nemmeno di striscio. bene, allora continuerò a guidare". uscii a tusa, e stavolta anzichè farmela in autostrada, decisi di tornare a palermo prendendo la statale, volevo vedere una strada diversa. la statale 113 è quella che collega messina a trapani, chiamata anche settentrionale sicula. mare alla mia destra, collinette alla sinistra, la statale infilza come uno spiedino un sacco di paesini, io ci passavo in mezzo, nel buio più totale, di rado qualche lampione accesso e le strade che cambiavano nome: via repubblica, viale garibaldi, corso emanuele.. semafori, luci, bar, ristoranti che stavano chiudendo, qualche cane bastonato che andava in giro in auto, probabilmente perchè si sentiva solo come me, la luna nel cielo.. ed era una stupenda luna piena. una luna che nei momenti migliori potevo vedere riflettersi nel mare, appena uscito dal paesino, quando non c’era nient’altro che il mare alla mia destra e rimanevo lì ammutolito di fronte a tanta bellezza. mi fermai in un piccolo spiazzo. uscii dall’auto, vicino ad un passaggio a livello. "ah, se questi momenti potessero durare un'eternità! ah, se avessi qualcuno al mio fianco per parlare di fronte a questo paradiso!" solo come l’ultimo uomo sulla terra, il chiaro di luna sull’acqua, mi accesi l’ennesima sigaretta e mi appoggiai ad una ringhiera. chiusi gli occhi, cercando di non pensare a nulla, in uno di quegli istanti stranamente vividi in cui non sai veramente chi sei, non so se vi è mai capitato. "cavolo, il mondo certe volte mi fa ricredere, è proprio bello". nel mio stereo passò “julia dream” una canzone dei pink floyd. sarà stato il momento, sarà stata l’atmosfera, ma credetemi che non c’è canzone più appropriata per un momento come questo. mi rimisi in auto, "al prossimo paesino che incontro mi fermerò a prendere un caffè: non ho sonno ma è meglio non rischiare, meglio tenersi svegli. se non voglio morire accoltellato nel bagno di un autogrill, allora non voglio nemmeno morire contro un lampione, su una statale. cavolo, ora che ci penso, non voglio morire affatto! pensarci bene... vorrei solo un po’ di compagnia, chiedo troppo? vorrei solo qualcuno accanto a me, anche qui in auto, ora, che voglia parlare un po’ di come vanno le cose". certo, qualcuno direbbe che sono i soliti discorsi deprimenti e inconcludenti, ma io penso che se non vi siete mai fermati a pensare a certe cose, discorsi sui massimi sistemi, tanto per intenderci, beh.. allora quelli deprimenti siete voi. continuavo a guidare e poi pensieri strani nella testa mi passarono tanto velocemente che non riuscivo a soffermarmi sul PERCHE' realmente stavo pensando a certe cose, e chissà se mi importava davvero poi! "che fine hanno fatto quei ragazzini con cui giocavo quand’ero all’asilo? e quella canadese che ho conosciuto quand’ero a roma, chissà che starà facendo adesso.. e quel ragazzo che conobbi alle visite mediche del concorso? poverino, 18 anni e già aveva un figlio. non ce l’ha fatta a passare, dove starà sbattendo la testa, ora?". in quel momento nello stereo willie nelson faceva la cover di “always on my mind” un gran pezzo di elvis, ed io trovai il mio bel baretto che mi confortò dandomi la mia seconda droga preferita, la dolce 'caffeina'. entrai. “’sera..”, il barista aveva uno sguardo torvo (a causa di un occhio di vetro) e mi rispose con “possiamo anche dire buongiorno.. sono quasi le
5.00.
“ah, già... che, mi fa un caffè macchiato freddo?”. mi guardai in giro e c'erano alcune persone sedute ai tavolini, un paio erano già belle che andate con la loro ricca dreher in mano. parlavano ad alta voce, loro, albanesi o giù di lì. "ma come fanno a stare così già a quest’ora? mah, probabilmente sono brilli da ieri sera..". il barista mi fece a bassa voce “qualche ora fa si sono presi a botte, quei due, ora stanno qui di nuovo a parlare.. secondo me non manca molto prima che si riprendano a schiaffi” “ah..” implacabile, io. "si, ma ‘sto caffè? ah, ecco.. grazie. quanto le devo?" "80 centesimi". il barista con un gesto cercò di richiamare la mia attenzione, come a dire ‘guarda quei due’. io non osai girarmi e li guardai dallo specchio di fronte, quello dei liquori. si misero in piedi, alzando un po’ la voce, e cominciarono a spingersi. "mmm, ma faranno sul serio?" il barista gridò di andare fuori se avevano intenzione di litigare.. e loro, docili docili, andarono fuori, a litigare vicino alla mia auto. "bravo, bella idea, barista". pagai, uscii fuori, e mi infilai così veloce in auto che ero già in moto e la porta del bar non s'era ancora chiusa. viva la paura! brum brum.. sparii dal paesino e dalla vista di tutti, diretto verso palermo con i miei pensieri e i miei onnipresenti dubbi su qualsiasi cosa c'è al mondo, e quando arrivai in città erano le
5.45.
ed era ancora troppo presto per fare una ricarica al cellulare, dovevo aspettare ancora un quarto d'ora. andai verso la via della sciampagneria ed entrai nell'ennesimo bar per fare colazione. solito caffè, cornetto al cioccolato. pagai e mi diressi verso il postamat, a qualche metro di distanza: infilai la scheda, digitai il codice e scelsi ricariche telefoniche, "mmm, 150 euro penso che basteranno". quello era l'ultimo gradino della mia solitudine, lì toccavo il punto più basso. erano le
6.00.
e stavo per chiamare uno di quei numeri erotici. rientrai in base, parcheggiai in un posto isolato (e all'ombra. ormai il sole era già su e cominciva di nuovo il caldo asfissiante) e provai qualche numero, "ce ne sono così tanti che prima o poi qualcosa a culo beccherò. 899 12 12 64. nulla, il numero chiamato è inesistente. ok, proviamo con 899 20 20 32. nemmeno..." dopo tre o quattro tentativi mi riuscì di beccare quello giusto. "ok, è un numero per adulti, lo so. sì, dichiaro di essere maggiorenne", il costo era 200 centesimi al minuto + iva (te lo dicono in centesimi così non capisci che si tratta di pagare 2 euro al minuto). "si ciao, sono paolo. da bari. con chi vorrei parlare? uhm, una ragazza simpatica. no non voglio fare sesso... come dici? sei sorpresa? ah.. va bene, attendo in linea... non fatemi aspettare tanto però.. e lo so che è il vostro gioco.." 30 secondi (o 1 euro se vogliamo) e sentii una voce alquanto suadente. dall'altro capo del telefono c'era mirella, si presentò come "la maestra dei cazzi" e scusatemi la volgarità, ma per dovere di cronaca, io riferisco... "no mirella, guarda, voglio solo fare due chiacchiere. perchè? perchè mi sento solo, terribilmente solo. dimmi di te, cosa fai, quanto ti pagano, hai figli mirella? un marito a casa che ti aspetta? lui lo sa di quello che fai o gli dici che vai in ufficio, di un po' come funziona?" immaginai di parlarle così quando in realtà le avevo detto solo il mio nome.
"da dove chiami, paolo.. hai detto paolo, no?"
"si, paolo. da bari"
"quanti anni hai?"
"24"
"ohh ma sei proprio giovanissimo. sei uno studente o lavori?"
"lavoro. si beh.. diciamo che lavoro in aeronautica.. e non chiedermi se sono un pilota, no, non lo sono.. sai com'è, me lo chiedono tutti.."
"oh ma che bello, un militare! beh che c'entra, mica esistono solo i piloti! comunque scommetto che te ne approfitti anche tu del fascino della divisa.."
"sinceramente no, anche perchè.. boh, ahah, non so perchè"
"sei mai stato in sicilia, paolo?"
cos'era, un'indovina? decisi di mentirle: "uhmm.. si, ma solo per lavoro. ci sono stato un mese, tempo fa"
"io sono di palermo, ci sei stato?"
"si, proprio a palermo"
"ahh... che bello! e dove, dico, in che caserma sei stato, vediamo se la conosco.."
"si chiama boccadifalco"
"vicino calatafimi, no?"
"si brava, proprio lì"
"peccato che ci sei stato solo un mese, palermo è una città da scoprire per bene. ti piacciono le palermitane, paolo?"
"certo, sono bellissime"
"ahahah, è vero, sono tutte belle. anche io lo sono, vuoi sapere come sono fatta?"
"uhmm.. naa, non mi interessa. parlami un po' dimmi di te"
"sei tu che hai chiamato, hai voglia di parlare, fallo su. raccontami di te, avanti.."
"ho una madre, un padre, una sorella. sto in aeronautica, ho 24 anni" oddio, che posso dire ad una sconosciuta per telefono?
"come si chiama tuo padre?"
"vito"
"tito? bel nome!"
"no, non tito, vito"
"con la erre?"
"no no, vito! v di vicenza, i di imola, t di torino.. eh ..si, brava, vito."
4 ore prima avevo imboccato l'autostrada trapani-messina, con la solita utopia, con il solito sogno irrealizzabile che magari anche a me poteva accadere qualcosa di strano e inaspettato, come nei film. si, lo so, sono uno stupido o troppo sognatore ma non smetto di sperare in qualcosa che possa cambiare la mia vita. e se non si tratta di cambiare la vita, perlomeno dare una svolta ad una singola notte. 4 ore più tardi, e parecchi km dopo, mi ritrovavo a fare lo spelling del nome di mio padre ad una sconosciuta che si faceva chiamare "la maestra dei cazzi". certe stronzate non hanno prezzo. e fa anche un caldo boia qui in macchina. e questa notte non finisce mai! a pensarci bene, 'ste stronzate ce l'hanno un prezzo, 2 euro.. anzi, 200 centesimi al minuto. più iva. cristo-di-dio.
lei continuava a parlare, mentre io pensavo alle solite idiozie: "io sono di palermo, ho sposato un romano e ora vivo a brindisi"
"come scusa? scusami stavo pensando ad una cosa.. ah.. quindi è a brindisi che sto chiamando.."
"uhm, non esattamente. fisicamente io sono a brindisi, ma sai le linee telefoniche.."
"capito. c'è un prezzo da pagare anche per sentirsi meno solo, no?"
"dai non essere così sarcastico. scommetto che sei un bellissimo ragazzo, lo sento dalla voce"
"e io scommetto che lo dici a tutti, maniaci e no. no, non sono un bel ragazzo.."
"allora di sicuro sei dolcissimo.."
"mah, forse neanche più di tanto. perchè sono solo, me lo sai dire?"
"come scusa?"
"ti ho chiesto se mi sai dare una motivazione alla mia solitudine. perchè sono solo, o perchè mi sento così solo?"
"molte persone dicono così, poi basta guardarsi intorno e si hanno un sacco di amici che.."
"che..? cosa? io non ho un sacco di amici. io non ne ho nemmeno pochi. ho solo qualche brava persona - chissà fino a che punto è brava, poi.. - che conosco e non è abbastanza, di sicuro. non a 24 anni. guarda.." e qui, la voce mi si spezza un po'..
"dai dai su, sta tranquillo, parla liberamente"
"guarda che a 24 anni anche il più idiota dei ragazzi ha una comitiva, delle amiche, degli amici, qualcuno che lo chiama al cellulare, qualcun'altro che lo invita a prendere una pizza.. perchè io devo essere diverso dagli altri? perchè devo sempre essere diverso?"
"questa tua diversità non significa di certo essere peggio.."
"LO SO! io LO SO! è proprio per questo che non riesco a spiegarmi la ragione, io sono meglio di tante altre persone.. io sono più.. sono meglio di tanti stupidi che hanno una vita più felice della mia!"
"ma cos'è che ti rende triste..? hai un bel lavoro.. una ragazza ce l'hai?"
"oh no.. grazie a dio. non ne ho e non ne voglio. sto bene così"
"e allora che ti manca?"
silenzio.
"non ti manca niente, vero?"
"suppongo di no"
"secondo me sei solo un..."
click.
chiusi la comunicazione. secondo lei ero solo un.. (coglione - stupido - idiota - insoddisfatto- deficiente..) cosa? cos'ero? magari per la prima volta nella mia vita qualcuno stava riuscendo a darmi una definizione, forse, chissà, mi avrebbe aiutato a capire. si, magari.. ma non credo che sarebbe andata così. avrei continuato a non capirmi, definizione o no. mi dispiaceva aver chiuso la comunicazione, ma era stato un gesto dettato dall'istinto. controllai il credito residuo, avevo speso 125 euro. 125 euro per parlare con una sconosciuta, dovevo esser matto sul serio.
e fu così, imprecando contro me stesso della mia stupidaggine, che arrivarono le
7.00.
del mattino: aprii il portaoggetti nel cruscotto, tirai fuori il mio fido moleskine e presi la penna blu. dovevo scrivere la lettera a daniela. scrissi per quasi un'ora, un totale di 20 piccole paginette, ma mancava quel fuoco che mi era necessario, che nella notte in bianco non ero riuscito a trovare. avevo deciso, in precedenza, che mi sarei messo a scrivere la lettera, in qualsiasi momento avessi voluto, in qualsiasi momento avessi trovato "l'ispirazione" ma era chiaro che a quell'ora del mattino stavo scrivendo solo per perdere un altro po' del mio tempo. scrivevo solo perchè non potevo fare altrimenti. come scoprii qualche giorno più tardi, quella lettera non avrebbe avuto nessun effetto. a pensarci bene, ora, non mi sorprende affatto. daniela non sapeva dell'autore della lettera, non sapeva nulla, fosse un bene o un male non lo so, ma di certo avevo modo di farmi conoscere attraverso quello che avrei prodotto su carta. poteva andarmi bene, poteva essere fantastica, potevo colpirla.. e si rivelò solo il modo più fallimentare. erano le
8.00.
quando tornai in camera. il sole cominciava di nuovo a picchiare forte e i miei compagni di stanza si stavano svegliando proprio in quel momento. mi videro vestito, chiesero se mi ero alzato apposta prima di loro per fare colazione e mentii, dicendo di sì. mi spogliai, mi buttai sul letto e cominciai a fissare la moltitudine di crepe che pian pianino si facevano strada sulla parete che mi stava di fronte. cercai di vederci degli angeli, o un leone, o magari una capra, e non riuscii nemmeno in quello. "dio che caldo", pensai, chiudendo gli occhi; poi mi tornò in mente tutto quello che avevo visto nelle ultime sei ore: il maniaco, la barista dell'autogrill, l'autostrada dritta e la statale, tutta quella miriade di paesini che avevo attraversato, la luna nel mare, il barista con l'occhio di vetro e gli albanesi che litigavano.. il cornetto nel centro di palermo e la telefonata con mirella, "la maestra". cosa avevo fatto? qualcosa di cui vergognarmi? qualcosa di cui esser fiero? non ne ero orgoglioso nè tantomeno intristito. mi sentivo svuotato eppure non avevo dato niente a nessuno. ma ormai era già mattina e la notte, quella notte lunghissima, finalmente era passata.

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